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Il fatto
02 Novembre 2025 - 19:50
Fidarsi è bene, non fidarsi a volte è meglio, soprattutto quando si tratta della sicurezza dei musei. Dopo la rapina al Louvre, la ministra della Cultura ha ammesso davanti al Senato che ci sono state mancanze nella sicurezza, confermando quanto evidente: in soli sette minuti, una banda travestita da operai ha svaligiato il museo più famoso del mondo.
Le indagini hanno messo in luce problemi di lunga data nella catena di sicurezza, inclusi aspetti tragicamente comici legati al sistema informatico. Secondo quanto ricostruito da Libération, le telecamere di sorveglianza erano accessibili con la password “Louvre”, scelta semplice e facilmente prevedibile, come rilevato già nel 2014 dall’Agenzia nazionale della sicurezza dei sistemi informatici.
Il 19 ottobre i rapinatori sono arrivati a bordo di un camion montacarichi, hanno raggiunto le finestre della Galleria d’Apollo e, armati di seghe circolari, le hanno aperte. L’allarme, disattivato o insufficiente, non ha impedito il furto di un bottino stimato in 88 milioni di euro.
Dopo circa una settimana, cinque persone sono state arrestate, due delle quali incriminate il primo novembre. Tra i sospetti anche una donna di 38 anni, il cui Dna è stato trovato tra gli oggetti abbandonati nella fuga. Le indagini proseguono per individuare i responsabili e rintracciare i gioielli rubati: nove dei ventitré preziosi della collezione dell’imperatrice Eugenia rimangono spariti.
Sul destino dei gioielli, le ipotesi sono molteplici. Alcuni potrebbero essere stati venduti all’estero, altri persino distrutti per l’assenza di un mercato. La procuratrice Laure Beccuau e il ministro dell’Interno Laurent Nuñez continuano a seguire tutte le piste, sperando che i preziosi vengano recuperati, possibilmente all’interno dello stesso museo, come già accaduto in passato con opere di valore internazionale.
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