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Il fatto
14 Novembre 2025 - 21:13
Gli stessi video che gli hanno regalato popolarità a trasformarsi oggi nel suo tallone d’Achille. I social network diventano materiale d’indagine per la Procura di Torino. Una parabola quasi inevitabile per Said Alì, per tutti Don Alì, 24 anni, nato in Marocco ma cittadino italiano, che da anni popola Instagram e TikTok con clip in cui si riprende mentre commette illeciti, sfida le forze dell’ordine, intimidisce sconosciuti. Un archivio sterminato, costruito post dopo post, che ora finisce sotto la lente del pm Roberto Furlan. Said, che si autoproclama «capo dei Maranza», è diventato un personaggio. Uno di quelli che il quartiere conosce da tempo e che il web ha trasformato in fenomeno. Ma è proprio questo protagonismo compulsivo a trascinarlo nel guaio più serio. Perché prima dell’episodio che ormai tutti conoscono – il video in cui intercetta un maestro elementare con la figlia di tre anni, lo filma, lo insulta, senza preoccuparsi di escludere la bambina dalle riprese – la Procura non aveva fascicoli degni di approfondimento su di lui.
Poi è arrivata la tempesta perfetta. E qui c’è il paradosso: Said è lo stesso che da anni cerca pubblicità, alimenta la sua narrazione di ragazzo “temuto”, colleziona like e follower come se fossero medaglie. Ma questa volta la notorietà non gioca a suo favore. Gli investigatori hanno iniziato a scorrere i suoi video, a incrociare i volti, a guardare i frame come fossero tessere di un mosaico. E i social, curati da lui con ossessione, diventano ora un archivio d’accusa. Tanto che Meta potrebbe entrare all’interno del procedimento giudiziario. I processi ai tempi della generazione Alfa, l’epoca attuale, quella dove si passa più tempo dietro uno schermo che con i propri cari. Torniamo al Don. Non che mancassero precedenti pubblici. Per anni il 24enne ha filmato se stesso mentre ruba nei mini market, attacca gli agenti, riprende passanti, fa “raid” nei quartieri, solo per provocare reazioni da condividere online. In un servizio di “Dritto e Rovescio”, la trasmissione di Paolo Del Debbio, una giornalista prova a rintracciarlo. Trova invece i suoi amici. E uno di loro arriva persino a dire che sarebbero state le mamme della scuola del maestro – l’uomo finito nel suo mirino – a contattare Don Alì per “chiedere aiuto”.
Una versione che per l’istituto scolastico ha lo stesso peso di una voce di corridoio: nessuna conferma, nessuna credibilità. Tanto che la scuola ha fatto quello che sa fare un’istituzione quando il limite viene superato: ha sporto querela. La denuncia dell’istituto si aggiunge a quella del maestro, assistito dagli avvocati Davide Salvo e Davide Noviello, che ormai da giorni procedono a ritmo serrato, tra documenti, notifiche, segnalazioni. Perché la sequenza di comportamenti non offre molti margini interpretativi. Said vive in Barriera di Milano, ha giocato a calcio, ha frequentato il Lagrange. Ma soprattutto ha già conosciuto misure cautelari: il divieto di lasciare Torino e l’obbligo di firma, guadagnati dopo un episodio in cui aveva insultato un poliziotto e poi era scappato. È stato arrestato per possesso di stupefacenti. Le ammonizioni orali del questore di Torino? Diverse. Ma a giudicare dagli ultimi sviluppi, mai realmente ascoltate. Molti giovanissimi lo idolatrano, lo imitano, lo citano. «Sai quante denunce ho io? E sono ancora libero» dice nei video. «Le forze dell’ordine in Italia non contano un ca..o». Il fascicolo della Procura non riguarda solo lui. Insieme a Alì, infatti, ci sono altri nomi: Ilyas Maluma, Mohamed Handi – noto come 7mida – e Zakaria Norri, suo cugino, figura di riferimento nel quartiere. Quest’ultimo avrebbe perfino sospeso l’account social nelle ultime ore, chissà se per prudenza o per strategia.
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