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LA STORIA
15 Novembre 2025 - 11:25
Arriva a Torino il 19 ottobre, un pomeriggio d’autunno come tanti. Si chiama Muse, ha tredici mesi e un cuore che non può aspettare. Nato in Somalia con un canale atrioventricolare completo, in un contesto di sindrome di Down, in patria era destinato a convivere con una diagnosi che lì si può fare, ma non si può correggere. Dopo i sei mesi, per questi bambini, i polmoni iniziano a pagare il prezzo dell’attesa: ipertensione polmonare progressiva, spesso irreversibile. In Italia, a tre mesi sarebbe già stato operato. A Mogadiscio, invece, ha potuto contare solo su cure mediche insufficienti.

Il padre non ha voluto rassegnarsi. Ha scritto una mail, tre parole in oggetto: «Help me!». Destinatario: il dottor Carlo Pace Napoleone, direttore della Cardiochirurgia pediatrica del Regina Margherita. Una richiesta d’aiuto nuda, quasi un ultimo tentativo. Da lì si è messa in moto una catena di solidarietà che attraversa fondazioni, associazioni, consulenti finanziari, fino ad arrivare in sala operatoria. La Fondazione Mediolanum raccoglie l’appello. In una sola serata, durante un evento organizzato da un consulente finanziario, parte la raccolta fondi. La Fondazione raddoppia quanto raccolto. L’associazione Ana Moise fa la sua parte. La Flying Angels Foundation compra i biglietti aerei. Gli Amici dei Bambini Cardiopatici garantiscono vitto e alloggio per la madre, a pochi passi dall’ospedale. Un lavoro silenzioso, quasi invisibile, che però permette al piccolo di arrivare vivo a Torino. Al Regina Margherita, qualche giorno per completare gli accertamenti, sotto la supervisione della dottoressa Chiara Riggi, responsabile della Cardiologia pediatrica. Poi, l’intervento: sei ore con circolazione extracorporea, l’équipe guidata da Pace Napoleone al lavoro per “rimettere a posto le cose”, come dicono loro, con la naturalezza di chi sa che ogni minuto pesa. L’esito è buono. Ottimo, dicono in reparto. Il cuore è stato corretto, i polmoni hanno retto. Muse si sveglia dopo poche ore, respira da solo, è stabile. Nonostante il ritardo — che in casi come questi di solito non perdona — ce la farà. Le cardiopatie congenite riguardano lo 0,8% dei nati vivi. Nei Paesi sviluppati, oggi, il 95% dei bambini operati arriva all’età adulta. Un dato che racconta una verità semplice e crudele: la possibilità di sopravvivere dipende ancora troppo dal luogo in cui si nasce.
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