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Il caso
15 Novembre 2025 - 14:20
«Qui la polizia non guarda, tranquilli». Diceva così, testuali parole, per rassicurare la sua piccola filiera di amici diventati manovali del narcotraffico: «Sono dei minchioni». A 26 anni, residente a Cambiano, Torino, pensava di aver trovato la falla perfetta tra Italia, Vietnam e Thailandia. Un visto da nomade digitale, tre Paesi dove muoversi senza attirare troppa attenzione, e internet come quartier generale per un mercato dello stupefacente che gli investigatori hanno definito senza mezzi termini “un supermercato”. Hashish, cocaina, eroina, ketamina, oppio, Lsd. Merce catalogata, pronta per essere spedita in Italia attraverso i canali più ordinari: il servizio postale, pacchi consegnati a locker automatizzati, ritiro rapido e nessun volto esposto. A gestire il lavoro sul territorio, sempre secondo l’indagine coordinata dalla procura, c’erano gli amici di sempre. Fidati, ma non abbastanza fortunati: uno dopo l’altro, sono stati presi in flagranza dai carabinieri e dalla polizia, quelli che il 26enne considerava “non attenti”. Quando sono caduti tutti, lui ha provato a sostituirli. Poi l’ultima retata, il panico, e la fuga. Dall’Italia al Sud-Est asiatico, convinto che bastasse cambiare continente per restare in una zona franca. La latitanza è durata poco. Dieci giorni fa è stato rintracciato a Bangkok. Arrestato. Per qualche ora ha fatto resistenza, poi ha chiesto lui stesso di tornare in Italia. Un rientro senza glamour: atterraggio a Milano Malpensa, prelievo da parte della polizia, trasferimento diretto in carcere. Così finisce la storia del “nomade digitale” convinto che la polizia non guardasse. È bastato che guardasse una volta.
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