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Il caso
18 Novembre 2025 - 08:00
«Dal crack ne si può uscire. Con percorsi comunitari lunghi, un impegno costante». Parola di Daniela Polastri, 50 anni, responsabile della comunità Nikodemo a Nichelino. La struttura accoglie oggi 17 uomini tutti impegnati in percorsi terapeutici per dipendenze da alcol e stupefacenti.

Daniela Polastri
«Tra gli utenti che seguiamo oggi, 16 sono lì a causa del crack», spiega Daniela, che lavora nel contesto comunitario dall’età di 18 anni. «Il fenomeno crack arriva nella nostra città circa dieci anni fa. Certo, c’è chi fa ancora uso di eroina e cocaina, ma parliamo di una piccola minoranza», riflette. Secondo Daniela, spesso il crack non è la droga “di passaggio” ma il primo stupefacente vero e proprio, oppure arriva subito dopo l’utilizzo di cannabinoidi o alcolici. «È frequente che l’utilizzo avvenga dopo l’intossicazione alcolica. Per tanti è visto solo come una fumata. Si trova facilmente, non bisogna bucarsi né sniffarla. L’impressione è quella che danneggi meno. Ma è un’impressione sbagliata». Il crack non colpisce solo fisicamente. Mentalmente provoca allucinazioni e stati di ansia così intensi che alcuni utenti tentano di contrastarli «con eroina e psicofarmaci. Quando finisce l’effetto del crack, la persona si trova in uno stato di ansia fortissima. Porta dipendenza immediata». Daniela descrive la sostanza come «una droga a cui si ricorre per sfuggire dai pensieri, perché li spegne. In una società che corre velocissima quella sostanza appare una magia per staccare un po’, come una panacea alle sofferenze». Smettere è possibile, ma non è semplice. «Il richiamo è semplice. Basta fumare una sigaretta. Nelle dipendenze la ritualità compie un elemento molto importante». E poi c’è un altro elemento altrettanto cruciale: il modo in cui cambiano le sostanze. «Negli anni è cambiato il modo di tagliare la droga. Adesso nei risultati degli esami delle urine troviamo tracce di oppiacei e quegli utenti non hanno mai fatto uso di oppiacei». E il fentanyl? «No, quello personalmente ancora non lo ritrovo nelle esperienze degli ospiti che seguo. C’è un’epidemia in America e anche in Italia si parla di un utilizzo massiccio di ossicodone. Quando si tratta di fentanyl, i danni sono visibili immediatamente», sottolinea Daniela.
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