l'editoriale
Cerca
CRONACA GIUDIZIARIA
24 Dicembre 2025 - 08:14
La parola finale è arrivata dalla Cassazione: ricorso inammissibile. E con quella decisione, datata 8 ottobre 2025 e resa nota nei giorni scorsi, si chiude definitivamente la vicenda giudiziaria di un ex manager Amazon che aveva tentato di ottenere la reintegra o un risarcimento dopo il licenziamento. Tentativi tutti respinti, uno dopo l’altro, dai giudici di Torino fino al terzo grado. Ma la sentenza pesa anche oltre il singolo caso. Perché nel motivare il verdetto, la Suprema Corte conferma un principio destinato a fare scuola: le chat aziendali, se usate come strumenti di lavoro, possono essere lette e utilizzate dal datore di lavoro. Il manager era stato assunto nel 2017 e aveva ricoperto fino al 2020 il ruolo di Reliability and Maintenance Engineering Manager. Proprio in quell’anno, all’interno dell’azienda, scatta un campanello d’allarme. Alcune conversazioni, avvenute sulla piattaforma interna Amazon Chime, finiscono sotto la lente. A segnalarle è una persona che le aveva lette e le aveva ritenute problematiche. In quei messaggi il manager, secondo quanto accertato, avrebbe ammesso di aver subito pressioni per escludere un candidato da un processo di assunzione, nonostante un giudizio inizialmente positivo. Non solo: dalle chat emergerebbe anche un accordo per ostacolare verifiche interne avviate dalle risorse umane. Un comportamento che, per l’azienda, mina alla base il rapporto fiduciario e giustifica il licenziamento. Da lì parte la battaglia legale. Prima il tribunale di Torino, poi la Corte d’appello, infine la Cassazione. Sempre con lo stesso esito: ricorsi respinti. La linea difensiva dell’ex manager è chiara: quelle chat non avrebbero dovuto essere acquisite né utilizzate, perché potenzialmente contenenti messaggi privati. Amazon, invece, ribadisce che si tratta di strumenti aziendali, destinati alle comunicazioni di servizio. I giudici danno ragione all’azienda. La Corte d’appello, in un passaggio poi fatto proprio dalla Cassazione, chiarisce che dati e informazioni raccolti tramite strumenti di lavoro sono utilizzabili, a condizione che il lavoratore sia stato informato in modo adeguato sulle modalità d’uso. Condizione che, nel caso specifico, risulta rispettata. In presenza di un fondato sospetto di comportamenti illeciti, spiegano i giudici, il datore di lavoro può attivare controlli difensivi anche sulle chat interne. Sempre nel rispetto di un equilibrio delicato: da un lato la tutela degli interessi aziendali, dall’altro la dignità e la riservatezza del lavoratore. Un bilanciamento che, secondo la Cassazione, in questa vicenda non è stato violato.
I più letti
L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.
CronacaQui.it | Direttore responsabile: Andrea Monticone
Vicedirettore: Marco Bardesono Capo servizio cronaca: Claudio Neve
Editore: Editoriale Argo s.r.l. Via Principe Tommaso 30 – 10125 Torino | C.F.08313560016 | P.IVA.08313560016. Redazione Torino: via Principe Tommaso, 30 – 10125 Torino |Tel. 011.6669, Email redazione@torinocronaca.it. Fax. 0116669232 ISSN 2611-2272 Amministratore unico e responsabile trattamento dati e sicurezza: Massimo Massano
Registrazione tribunale n° 1877 del 14.03.1950 Tribunale di Milano
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo..