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Mercati globali
11 Aprile 2025 - 11:12
Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, scaturite dall’inasprimento dei dazi imposto dall’amministrazione Trump, stanno già mostrando segni tangibili sulle dinamiche economiche globali. Se da un lato risulta ancora incerto quanto a lungo durerà questo scontro, dall’altro è evidente che le ripercussioni si stanno facendo sentire molto prima del previsto.
Tra i segnali più evidenti, si registra un brusco calo delle prenotazioni di container lungo le rotte tra i due paesi, accompagnato dalla cancellazione di numerosi ordini e dal blocco di intere spedizioni nei porti statunitensi. In alcuni casi, le merci giacciono ferme nei magazzini doganali in attesa di nuove direttive o sviluppi.
Secondo le rilevazioni del Sonar Container Atlas, da fine marzo i volumi di container prenotati tra Cina e USA sono scesi del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il clima di incertezza ha portato molte aziende a sospendere o annullare le commesse, innescando un effetto domino che ha coinvolto anche i lavoratori: si registrano infatti i primi casi di licenziamenti e ferie forzate in aziende che dipendono esclusivamente dal commercio tra i due paesi.
Attualmente, le tariffe imposte dagli Stati Uniti sui beni cinesi hanno raggiunto il 145%, rendendo molti prodotti economicamente non sostenibili. Un esempio emblematico riguarda il settore tecnologico: un telefono cinese da 200 dollari, una volta sbarcato negli USA, arriva a costare circa 490 dollari a causa delle tasse doganali.
Pechino ha risposto con misure altrettanto severe: inizialmente con dazi dell’84%, ora aumentati fino al 125%, cui si sommano ulteriori imposte su beni agricoli ed energetici. Queste misure colpiscono duramente soprattutto settori strategici per l’economia americana, come l’agricoltura, in particolare in quegli stati dove l’export verso la Cina rappresenta una voce cruciale.
Il volume degli scambi tra le due potenze nel 2024 ammontava a circa 582 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti esportavano verso la Cina beni per 143 miliardi, contro i 439 miliardi di prodotti importati da Pechino, generando un disavanzo commerciale di quasi 300 miliardi di dollari.
In questo scenario, giganti del commercio elettronico come Amazon hanno già iniziato a ridurre la presenza di venditori cinesi sulle proprie piattaforme, mentre molte imprese statunitensi che dipendono dalla manifattura cinese si trovano a dover fronteggiare blocchi nella catena di approvvigionamento, aumento dei costi e difficoltà nel mantenere i livelli occupazionali.
Il rischio maggiore riguarda l’impatto sistemico: le aziende americane hanno costruito interi modelli di business sulla disponibilità di componenti e prodotti cinesi a basso costo. Interrompere questo flusso significa mettere a repentaglio non solo i profitti, ma anche la stabilità di settori come l’elettronica, i giocattoli e l’industria leggera.
Per la Cina, la sfida sarà quella di trovare mercati alternativi per le proprie esportazioni. Secondo Goldman Sachs, tra i 10 e i 20 milioni di lavoratori cinesi sono impiegati nella produzione di beni destinati al mercato americano. Una contrazione degli scambi potrebbe abbattere l’attuale tasso di crescita del PIL cinese di 1,5-2 punti percentuali, minando gli obiettivi di sviluppo del governo e aggravando problematiche già evidenti, come la disoccupazione giovanile.
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