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La decisione

iPhone a rischio dazi: Trump sfida Apple, ma la produzione americana costa troppo

Spostando la filiera negli Usa, lo smartphone potrebbe arrivare a costare intorno ai 2mila euro

iPhone a rischio dazi: Trump sfida Apple, ma la produzione americana costa troppo

Donald Trump rilancia la sua crociata per riportare l’industria tecnologica negli Stati Uniti e mette nel mirino il simbolo più potente della Silicon Valley: Apple. Dal 23 maggio, il colosso guidato da Tim Cook è di fronte a un bivio: produrre iPhone in America o affrontare dazi fino al 25% per ogni dispositivo fabbricato all’estero. Un ultimatum che riapre lo scontro tra sogni patriottici e realtà economiche globalizzate.

Sulla carta, la produzione statunitense è possibile. Ma, nei fatti, è una montagna difficile da scalare. Secondo Wayne Lam, analista di TechInsights, spostare la catena produttiva negli USA comporterebbe costi stratosferici, aggravati dalla scarsità di manodopera e dalla necessità di un’iper-automazione. Il risultato? Un iPhone che potrebbe superare i 2.000 euro. “È economicamente insostenibile nel breve termine”, ha dichiarato Lam al New York Times.

A complicare ulteriormente il quadro, il tramonto (già annunciato) dello smartphone per come lo conosciamo: secondo gli esperti, l’era dell’iPhone potrebbe essere al capolinea entro il prossimo decennio, superata da dispositivi basati sull’intelligenza artificiale. Tra i pionieri, Sam Altman e Jony Ive, che hanno appena annunciato un prodotto IA per il 2026. Investire miliardi ora per ricostruire la filiera americana? Una scommessa ad alto rischio.

Apple ha già provato ad avvicinarsi alla produzione domestica. Nel 2013, aveva lanciato l’assemblaggio del Mac Pro in Texas. L’esperimento è stato parziale: ancora oggi, i dispositivi portano etichetta thailandese. E intanto la Cina rimane il fulcro produttivo. Con milioni di operai stagionali, fornitori fidelizzati e un esercito di ingegneri specializzati — “così tanti da riempire diversi campi da football”, aveva detto Tim Cook — il gigante asiatico continua a offrire ciò che nessun altro può.

L’India si propone come alternativa. Apple ha accelerato la produzione di iPhone a Chennai, sostenuta da dazi locali, incentivi governativi e un bacino di ingegneri in espansione. Ma se in India si assembla, in Cina si crea. I componenti più sophisticati — display, chip, Face ID — continuano a essere cinesi. Il “Made in India” è, per ora, più facciata che sostanza.

La sfida lanciata da Trump è tanto ideologica quanto pratica. Rappresenta il tentativo di piegare il simbolo tech americano a una narrazione industriale patriottica. Ma la globalizzazione non si smonta con un tweet presidenziale. Apple è incastonata in una catena di fornitura globale costruita in decenni, con radici profondissime in Asia.

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