Il vertice NATO tenutosi all’Aja il 24 e 25 giugno ha portato a un’intesa storica tra i 32 Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Tutti hanno firmato un impegno a portare le spese per la difesa e la sicurezza fino al 5% del proprio PIL entro il 2035. Una decisione che segna un cambio profondo nella strategia occidentale, alla luce delle crescenti minacce alla sicurezza euro-atlantica.
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L’accordo prevede che il 3,5% del PIL sia dedicato alle spese militari in senso stretto, mentre l’1,5% sarà destinato a settori legati alla sicurezza, come le telecomunicazioni, la cybersicurezza e le infrastrutture critiche. Per l’Italia, che nel 2024 ha speso circa 33 miliardi di euro per la difesa, questo comporterà un aumento significativo fino a circa 78 miliardi nei prossimi dieci anni.
Non tutti però hanno accettato il nuovo obiettivo senza riserve. La Spagna ha chiesto e ottenuto una deroga, fissando un tetto massimo di spesa pari al 2,1% del PIL. Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha spiegato che un aumento maggiore comporterebbe per il suo Paese uno sforzo insostenibile: servirebbe aumentare le tasse, tagliare del 40% le pensioni o dimezzare gli investimenti in istruzione. Attualmente la spesa spagnola si attesta sui 19,7 miliardi di euro all’anno. L’adeguamento al 2,1% porterà questa cifra a 33,4 miliardi, ma si rimarrà comunque molto lontani dai 55,7 miliardi richiesti dall’accordo.
Sanchez, che in Parlamento non dispone della maggioranza necessaria per far passare un piano di spesa militare più ampio, ha ricevuto l’appoggio del nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte. In una lettera a Madrid, Rutte ha garantito che l’accordo prevede un margine di flessibilità nell’applicazione delle misure.
La presa di posizione spagnola ha però provocato la reazione immediata del presidente americano Donald Trump, che ha definito “terribile” la scelta di Madrid e ha minacciato l’imposizione di “dazi doppi”. Trump ha parlato del 5% come di una “vittoria monumentale” e ha lasciato intendere che non ci sarà tolleranza per chi non rispetta gli impegni.
Diverso l’atteggiamento dell’Italia. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso soddisfazione per l’accordo e ha escluso tagli ad altri settori del bilancio. Ha anche chiarito che non sarà attivata alcuna clausola di salvaguardia. Roma, dunque, si impegna ad aumentare le spese per la difesa, mantenendo però una forte componente industriale nazionale: l’85% degli armamenti acquistati nel 2024 è stato prodotto in Italia.
La produzione interna copre in particolare sottomarini e fregate per la marina militare. Per i veicoli corazzati, l’Italia ha una partnership strategica con la Germania. Con la Francia è attivo un accordo sui lanciamissili, mentre per quanto riguarda i sistemi per la difesa aerea, compresi i caccia F-35, gli acquisti avvengono principalmente dagli Stati Uniti.
L’accordo firmato all’Aja segna una svolta concreta per la NATO: entro il 2035 i Paesi membri dovranno portare al 5% del PIL la spesa complessiva per difesa e sicurezza. È un obiettivo chiaro, con numeri precisi, che richiederà aggiustamenti importanti nei bilanci pubblici. Alcuni governi, come quello spagnolo, hanno già posto dei limiti, altri – come l’Italia – hanno dato il via libera senza riserve. Nei prossimi anni si vedrà chi riuscirà davvero a rispettare gli impegni presi. Non sarà una questione ideologica, ma di scelte politiche, capacità di gestione e priorità economiche.