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Parità di genere: l’Italia resta indietro sul lavoro femminile, ma crescono certificazioni e buone pratiche

Un’occupazione ancora troppo bassa, divari salariali e barriere culturali: le donne faticano a entrare e crescere nel mercato del lavoro. Tuttavia, strumenti come la certificazione UNI/PdR 125 e i principi WEPs offrono segnali positivi di cambiamento

Parità di genere: l’Italia resta indietro sul lavoro femminile, ma crescono certificazioni e buone pratiche

L’Italia continua a essere fanalino di coda in Europa sul fronte del lavoro femminile. Con un tasso di occupazione sotto il 53%, resta ben al di sotto della media UE (70%), e il divario con gli uomini sfiora il 18% – il doppio rispetto all’Europa. Anche ai vertici aziendali le donne sono sottorappresentate: solo il 28% ricopre ruoli apicali, contro il 35% europeo.

Sono questi alcuni dei dati emersi dal report di Deloitte, in collaborazione con UN Women Italy e Winning Women Institute, presentato a Milano durante l’incontro "La parità di genere (non) è un’impresa".

Certificazioni come strumenti di cambiamento

Accanto a normative come i congedi obbligatori e le quote nei Cda, si stanno diffondendo strumenti volontari. Tra i più significativi, i Women’s Empowerment Principles (WEPs), promossi da UN Women e UN Global Compact, che promuovono parità salariale, carriera equa, orari flessibili, e tolleranza zero verso le molestie.

A livello nazionale, la certificazione UNI/PdR 125:2022 ha raggiunto oltre 8.100 aziende in tre anni, con un forte coinvolgimento anche delle PMI.

«È come un termometro con cui le aziende misurano i propri progressi», spiega Paola Corna Pellegrini, presidente Winning Women Institute.
«Ha saputo attrarre anche settori maschili come l’edilizia: ora serve rifinanziare i fondi del PNRR».

Leadership e innovazione: il gender gap resiste

Secondo il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, l’Italia è solo all’85° posto, e a questo ritmo serviranno oltre 120 anni per colmare il divario.

I numeri parlano chiaro: solo il 13,7% delle startup innovative italiane è guidato da donne, e nei Cda delle quotate, appena il 2,9% ha una donna al vertice. Anche nel tech la presenza è minima: il 12% delle donne è impiegato nella ricerca sull’AI, e solo il 6% nello sviluppo software.

Le cause? Stereotipi culturali, welfare inadeguato e scarsa partecipazione ai percorsi STEM, dove le donne rappresentano solo un terzo degli iscritti, e appena il 20,6% nell’ICT.

«Se la metà delle donne non lavora, è l’intero Paese a perdere», sottolinea Darya Majidi, presidente UN Women Italy.
«Serve una mentalità digitale nelle giovani e politiche aziendali che valorizzino il merito femminile».

Più donne al lavoro, più crescita per tutti

Secondo il FMI, ridurre le disuguaglianze nel lavoro potrebbe far crescere il PIL fino all’8% nei Paesi in via di sviluppo, con un impatto potenziale del +23% in caso di eliminazione totale del gap.

In Italia, dove solo il 27,9% dei ruoli manageriali è ricoperto da donne, le imprese con almeno tre donne nei board ottengono risultati migliori, sia finanziari che ESG.

«La parità è una leva per l’innovazione e la sostenibilità», afferma Silvana Perfetti, Chair Deloitte Central Mediterranean.
«Colmare il gender gap non è solo equità, ma una priorità economica».

«La partecipazione femminile nei processi decisionali è un imperativo strategico», ha ribadito anche Fabio Pompei, CEO di Deloitte Italy.
«Solo includendo tutte le competenze disponibili potremo costruire un modello economico equo e rappresentativo».

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