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Economia
22 Agosto 2025 - 13:20
Il traguardo dei mille giorni di esecutivo è un fatto raro nella storia politica italiana. Un primato che racconta di stabilità, ma che non basta, da solo, a certificare il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
I numeri a sostegno dell’attuale governo non mancano. L’occupazione ha toccato il massimo storico di 24,3 milioni di persone al lavoro, lo spread con i Bund tedeschi è sceso da 230 a 84 punti base, il deficit è calato dal 7,2% al 3,3%, e i rapporti con Bruxelles hanno trovato una sponda solida nella presidente della Commissione Europea. Segnali positivi, accolti con favore dai mercati internazionali.
Ma dietro le cifre incoraggianti emergono fragilità profonde. L’occupazione cresce soprattutto nei servizi, con salari più bassi rispetto al manifatturiero. E così, nonostante entrate fiscali più robuste, la domanda interna resta fiacca. I salari reali non hanno recuperato i livelli del 2019: secondo l’Ocse, sono ancora inferiori del 7,5% rispetto al 2021, erosi da un’inflazione che, pur in calo, continua a pesare sui consumi.
Il rigore di bilancio ha ridotto deficit e spread, ma non ha scalfito il vero nodo: un debito pubblico che rimane oltre il 135% del Pil e che, secondo le stime, continuerà a crescere nei prossimi anni. La politica monetaria restrittiva, in questo quadro, rischia di diventare un fine più che un mezzo.
La crisi della manifattura italiana, settore che in passato ha trainato la ripresa, rappresenta la vera emergenza. Nei primi sei mesi del 2025 la produzione industriale è rimasta negativa e la cassa integrazione ha coinvolto 300mila lavoratori, il 90% dei quali nell’industria. Un segnale allarmante per un Paese che non può vivere solo di turismo e servizi.
Gli industriali chiedono un cambio di passo: servono investimenti, una politica energetica che includa anche il nucleare di nuova generazione, una vera unione fiscale europea capace di superare i paradisi fiscali e un assetto decisionale meno vincolato all’unanimità. “Non c’è più tempo da perdere – ha avvertito il presidente Orsini al Forum del 10 luglio – l’Europa deve tornare competitiva e l’impresa deve essere al centro”.
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