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Economia europea
29 Maggio 2025 - 08:15
Foto d'archivio
L’Unione Europea si configura come uno dei più vasti mercati integrati al mondo, con una popolazione di circa 450 milioni di abitanti. Il tasso di disoccupazione si attesta oggi ai livelli più bassi degli ultimi decenni, mentre la propensione al risparmio resta elevata: ogni anno, circa 300 miliardi di euro di capitali europei vengono investiti fuori dai confini dell’Unione. Nonostante queste condizioni favorevoli, il mercato interno europeo continua a essere ostacolato da una serie di barriere non tariffarie, definite impropriamente “dazi interni”, che limitano la piena circolazione di beni e servizi all’interno dei confini comunitari.
A differenza dei dazi doganali tradizionali applicati alle merci importate da Paesi terzi, i cosiddetti “dazi interni” non sono imposte dirette, ma ostacoli di natura normativa, amministrativa o strutturale. Si tratta, ad esempio, di regolamenti diversi tra Stati membri, burocrazia disomogenea, standard tecnici non armonizzati e vincoli alle attività professionali transfrontaliere. A queste si aggiungono scelte politiche e comportamenti economici che mirano a difendere interessi nazionali, spesso a discapito dell’integrazione del mercato unico.
La questione è stata recentemente rilanciata dalla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, intervenuta all’Assemblea di Confindustria a Bologna. “In un contesto di instabilità dei mercati internazionali, l’Europa dovrebbe rimuovere i dazi interni che si è autoimposta”, ha dichiarato. Citando dati del Fondo Monetario Internazionale, Meloni ha segnalato che il costo medio per vendere un bene tra due Stati membri dell’UE equivale a una tariffa implicita del 45%, contro il 15% stimato per gli Stati Uniti. Per quanto riguarda i servizi, la cifra sale al 110%, segno di una frammentazione ancora più marcata in questo settore.
Secondo diversi economisti, le barriere interne rappresentano un ostacolo significativo alla competitività dell’UE. Impediscono alle imprese di beneficiare pienamente delle economie di scala e scoraggiano gli investimenti, sia interni che esteri. In particolare, le PMI, che costituiscono la spina dorsale del tessuto economico europeo, risultano penalizzate dalla necessità di adeguarsi a normative differenti in ciascun Paese. La mancanza di un vero “level playing field” all’interno dell’Unione limita anche lo sviluppo di settori strategici, come il digitale, l’energia e i trasporti.
Negli ultimi anni, la Commissione Europea ha avviato iniziative per rafforzare l’integrazione del mercato unico, come il Digital Services Act, l’Unione dei mercati dei capitali e l’Unione dell’energia. Tuttavia, le resistenze degli Stati membri e la lentezza del processo decisionale europeo ostacolano l’attuazione di riforme incisive. Una maggiore armonizzazione regolamentare e una riduzione delle frammentazioni nazionali vengono oggi considerate condizioni necessarie per rilanciare la crescita economica dell’Unione in un contesto globale sempre più competitivo.
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