E’ l’Italia. Anche di fronte alle morti innocenti di bambini, non si perde il vizio del rimpallo di responsabilità. Non sono solo i tre indagati a farlo, ma è l’intero sistema che anche per una tragedia come quella accaduta sul Mottarone, va in tilt e le cose si complicano maledettamente. C’è il pm che arresta, la gip che scarcera e poi viene estromessa a favore di un altro giudice. Ricorsi e contro ricorsi al tribunale del Riesame e alla Camera Penale, che indaga sul cambio in corsa del magistrato delegato alle indagini preliminari. E poi c’è un’udienza da fissare che alcuni vorrebbero subito, altri dopo l’estate. Insomma, il solito pasticcio all’italiana e una decisione che da un lato consola e dall’altro inquieta. Le perizie per la funivia caduta, saranno eseguite seguendo i protocolli adottati per la strage di Ustica. E va bene, perché alla fine è stata scoperta la verità. Ma quanti anni ci sono voluti? Troppi. Sul fronte della cronaca, intanto, si è capito che non è tanto il pericolo di fuga a preoccupare il procuratore capo di Verbania Olivia Bossi, ma l’inquinamento delle prove. Ed è per questo che nella richiesta al tribunale della Libertà, contro la sentenza di scarcerazione degli indagati, presunti responsabili della strage del Mottarone, chiede perentoriamente, l’annullamento della decisione della gip Donatella Banci Buonamici e «l’esecuzione dell’ordinanza cautelare in carcere per Luigi Nerini, Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio». Per la procura la vicenda «è estremamente complessa e coinvolge, per ciò che riguarda manutenzione e controlli, numerosi soggetti, enti e società». Pertanto i tempi relativi all’acquisizione di documentazione e «all’analisi della stessa», sono necessariamente lunghi e l’inchiesta è «esposta ad un possibile inquinamento probatorio». Ciò significa che gli indagati potrebbero cancellare o modificare comunicazioni, «cartacee o mail», o agire in altri modi che sarebbero di ostacolo alle indagini. Tuttavia, la pm Bossi ritiene che, almeno allo stato dei fatti, l’impianto accusatorio si sia arricchito di nuove testimonianze (raccolte dopo la sentenza del gip) che indicherebbero in Nerini, Tadini e Perocchio, i primi responsabili di quanto avvenuto in vetta al Montarone. «Ma - sottolineano fonti della procura - non sarebbero gli unici responsabili e nelle prossime settimane potrebbero essere chiamati in correo anche altre persone. Oggi come oggi - conclude la fonte - senza attendere la perizia, la procura dovrebbe emanare avvisi di garanzia a pioggia nei confronti di decine di persone». Secondo la giudice Donatella Banci Buonamici non c’erano sufficienti motivi per sostenere le esigenze di custodia cautelare, poiché l’unico elemento a carico dei due dirigenti era la chiamata in correità del caposervizio che durante il primo interrogatorio nella caserma dei carabinieri, aveva sostenuto che l’idea di mettere il forchettoni per disinserire il sistema frenante era stata solo sua. Nel secondo interrogatorio da indagato, Tadini aveva chiamato in causa anche gli altri due. Un motivo sufficiente secondo carabinieri e procura per fermare nel cuore della notte tutti e tre e portarli in cella. Non un motivo valido per la gip, invece, che li aveva fatti uscire, ma le nuove testimonianze e altre prove documentali presentate al tribunale del Riesame, secondo la procuratrice Bossi, rovesciano radicalmente la situazione, al di là di ogni ragionevole dubbio. Sul ricorso, come per la perizia, è polemica tra i legali degli indagati e la procura che chiede una rapida fissazione dell’udienza di Riesame perché «sono emersi elementi nuovi». Tergiversano gli avvocati perché «nessuno delle persone sotto inchiesta è detenuto, per cui il Tl deve seguire i tempi di consuetudine». E se così fosse, il tribunale della Libertà che per competenza è quello di Torino, potrebbe fissare l’udienza «anche dopo la pausa estiva». Una decisione sulla data verrà comunque presa molto presto, dopo che i giudici avranno esaminato il ricorso della procuratrice Bossi. Sul fronte della perizia, infine, appare verosimile ritenere che la carcassa della cabina possa essere spostata dal Mottarone entro una decina di giorni e ricoverata in un hangar militare a disposizione dei periti.
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