Siamo andati a caccia di idee per il nuovo sindaco. E lo abbiamo fatto a modo nostro, con il giornale in una mano e il taccuino nell’altra. Metodo mocassino, lo chiamava il mio primo capocronista alla Gazzetta del Popolo. Certo erano gli anni ‘70, non c’erano i social e la tivu a colori l’avevano in pochi. Quindi la gente parlava volentieri quando c’era la possibilità di finire sul giornale. Ebbene, è capitato anche ieri. In centro e in periferia. E non c’è stata reticenza, tra i passanti. Anzi, di idee (vecchie e nuove) ne abbiamo raccolte, al punto che ne sono venuti fuori dieci punti da segnalare a Stefano Lo Russo che in queste ore sta lavorando per mettere insieme gli assessori che comporranno la sua giunta. Il primo, e pure il più condiviso, riguarda le periferie, ossia il tasto dolente che fu già di Fassino e che ha condizionato l’Appendino. Partendo da una considerazione: i quartieri non sono tutti uguali e non c’è una pillola che risolva problemi strutturali e disagio sociale. Poi i trasporti con quella provincialissima reticenza del passato nell’aprire la metro anche di notte, con i percorsi dei bus che vanno riformati, con l’esigenza di capire quali zone sono peggio servite. E poi il resto, che vi leggete con comodo in pagina. Con una considerazione che comunque va fatta: Torino ha bisogno di tante cose, ma di una in particolare ha un’esigenza primaria: il lavoro. Quella parolina essenziale in ogni budget famigliare troppo spesso sconvolto da gelidi venti di crisi. Che può fare il sindaco? Apparentemente non ha poteri. E su questo hanno galleggiato beatamente in tanti. In realtà un sindaco attento di poteri ne ha, eccome. Cominciando a puntare i piedi con chi delocalizza, poi vende e infine assiste a tagli e ridimensionamenti. E poi ci sono le banche, le associazioni degli industriali. E il sindacato. Tutte realtà che, se Lo Russo lo vorrà, potranno essere chiamate in causa. Per fare squadra. Ecco ci piacerebbe che si cominciasse così, dimenticando quella vergogna terribile dell’Embraco.
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