Camminiamo su un filo sempre più sottile, sul baratro del conflitto in Ucraina che non deve trasformarsi nella terza guerra mondiale. E, come accade da giorni, al rombo dei cannoni e dei missili che devastano le città, si incrociano le battaglie verbali che in molti casi si mescolano alle fake news. Una guerra vera e una verbale, fatta di annunci di nuove sanzioni a Mosca e relative ritorsione nei confronti delle nazioni occidentali. Italia compresa. In questo ambito resta da capire quali effetti avrà la decisione del presidente degli Stati Uniti Biden di bloccare l’importazione di gas, petrolio e carbone dalla Russia in accordo con il leader inglese Boris Johnson, anche sul nostro Paese che oggi dipende dal gigante russo per il 40 per cento delle forniture. E il rischio lo si comprende dalle parole del vice di Putin Aleksandr Novak, il quale ha dichiarato che in caso di embargo si potrebbero interrompere le forniture dirette in Europa. Per ora, è una minaccia. Ma certo non da trascurare mentre si cercano nuovi alleati commerciali, a cominciare dagli Emirati Arabi. Un clima in cui la diplomazia rimane l’unica vera arma per contrastare l’avanzata dell’armata dello zar. Conosciamo le iniziative di Francia, Israele, in parte della Cina che teme soprattutto perdite economiche. E da domenica, anche della Santa Sede. Ma è impossibile comprendere quali possano essere le soluzioni di pace, mentre la battaglia sul suolo ucraino continua. La cronaca ci parla di un ospedale abbattuto dalle bombe a Izymun vicino a Kharkiv, di un milione di bimbi in fuga, due milioni di profughi già usciti dai confini. Mentre sale sempre più il bilancio delle perdite nelle fila dell’esercito russo (forse 4 mila), mentre l’Ucraina tace sul numero delle vittime tra militari e volontari chiamati alle armi. Numeri che si accavallano a notizie raggelanti, come quella di Tania Moroz, una bimba di sei anni morta per disidratazione dopo essere rimasta tra le macerie della sua casa distrutta dai bombardamenti a Mariupol, ad atti di eroismo come quelli di un ragazzo di 11 anni che ha camminato da solo per quasi mille chilometri per allontanarsi dalle bombe, delle famiglie distrutte e delle città che appaiono desertificate e immobili come se fossero state vittime di un attacco nucleare. Immagini che abbiamo tutti negli occhi, mentre - ora dopo ora - si infittiscono anche le manovre difensive verso i confini. La Nato ha deciso di rafforzare le sue difese al fronte orientale dell’Europa. «Abbiamo 130 jet in allerta, 200 navi nel l’Alto Mediterraneo, e migliaia di truppe aggiuntive nella regione - ha detto il segretario generale dell’Al - leanza Jens Stoltenberg nel corso di una conferenza stampa a Riga, in Lettonia.- la Nato ha la responsabilità di garantire che il conflitto non si intensifichi e non si espanda oltre l’Ucraina». Siamo al muro contro muro in una giornata che potrebbe anche preludere ad un’altra prova di forza da parte dell’armata russa di terra. Il motivo che forse ha spinto il presidente ucraino Zelensky ad affermare che questa guerra non finirà così, ma potrebbe degenerare nel terzo conflitto mondiale, salvo poi, qualche ora più tardi, affermare di essere pronto a discutere per trovare un compromesso su Dombass e Crimea, prima di intervenire in diretta streaming con la Camera dei Comuni britannica. Ci si avvia verso la notte mentre arrivano altre notizie di bombardamenti sui civili in fuga nei corridoi umanitari e le prime vittime di mine antiuomo disseminate sulle vie di fuga. Il segno, l’ultimo in ordine di tempo, di una guerra sporca e maledetta.
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