Anche Enrico Mentana che delle maratone tv sulle elezioni è un professionista incallito, questa volta ha scelto il silenzio. Forse perché di fronte ad una debacle come quella di domenica era più saggio tacere. I referendum sulla giustizia sono stati un fallimento storico. E sarebbe idiota accreditare il rifiuto degli italiani alle scampagnate al mare o in montagna in questo torrido inizio d’estate. I motivi veri stanno nella disaffezione verso la politica che invece di interrogarci su quesiti anche malposti, avrebbe dovuto risolvere i problemi in Parlamento trovando soluzioni. E invece ha posto solo domande buttando ancora una volta i nostri soldi dalla finestra, Milioni sprecati per registrare non solo la disaffezione di larghissima parte degli italiani verso il confronto referendario, ma anche la distanza sempre più accentuata tra i problemi quotidiani della gente e le litanie dei partiti. Morale della favola i referendum sono falliti perché il quorum non è stato raggiunto. E se a livello nazionale le elezioni amministrative hanno fatto salire l’asticella delle presenze nei seggi, ad osservare solo i quesiti referendari, la sconfitta è la peggiore di sempre, con il 20,9 per cento di votanti che vale il record di un disinteresse mai verificato prima. E che dovrebbe far riflettere anche sul voto politico che si annuncia molto vicino. Un campanello d’allarme viene anche dal confronto tra candidati sindaci nei comuni dove la media dei votanti (parliamo in particolare dei 28 centri in provincia di Torino) si è attestata al 50,8%. Come dire che la metà dei cittadini ha delegato ad altri la scelta del sindaco e della sua giunta. Ad essere sinceri il destino di queste elezioni doppie era apparso fin da subito fortemente segnato. Chi ha visto i leader dei partiti mobilitarsi per i referendum o per sostenere magari candidati civici in provincia? Fino a ieri forse nessuno, fatte piccole eccezioni. Il risveglio c’è stato nella mattinata di ieri, di fronte ai primi exit pole per commentare l’avanzata della destra a Genova o Palermo, o per dibattere sulla leadership di Giorgia Meloni che, a spoglio quasi finito, sembra battere Matteo Salvini. In realtà, volendo tornare alla debacle referendaria, va detto che mancavano due domande su cui misurare il parere degli elettori: la responsabilità civile dei magistrati, abilmente cassata dalla Consulta e il diritto al fine vita con l’eutanasia. I tecnicismi giuridico istituzionali non hanno fatto presa, e questo lo si è capito da subito. Anche perché non hanno fatto notizia, neppure per le tivù e le loro tribune elettorali. Così ne usciamo tutti ancora più disillusi e soli di prima per la distanza sempre più ampia tra chi amministra e chi è amministrato. Con la sensazione che la vita reale, la crisi, i postumi della pandemia, gli aumenti dei prezzi sempre più insopportabili e ingiustificati, siano solo problemi nostri mentre la politica dibatte di altro e rimanda anche le soluzioni più semplici. Riflessioni che purtroppo siamo costretti a ripetere dopo ogni chiamata alle urne. E’ accaduto pochi mesi fa con le amministrative di Torino dove le periferie hanno disertato le urne. E domenica è andata pure peggio. raccontandoci una città davvero spaccata in due. Con il centro e la collina interessati ancora a far sentire la propria voce e le periferie mute a fare i conti soltanto con le loro emergenze. Certo la politica locale qualche segno lo sta dando, anche con spirito critico, ma è Roma che tace e che lascia intuire - un’altra volta ancora - un distacco dalle periferie dell’impero. I partiti finiti i loro conticini fatti sul pallottoliere sempre più scarno delle urne, per affermare leadership più presunte che reali, devono riflettere a fondo. E fare in fretta a dare risposte. Che non sono quelle che possono discendere da referendum dal destino segnato, ma dalla vita reale.
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