C’è un limbo ancora sconosciuto in questa nostra città. E riguarda la povertà che d’istinto noi colleghiamo all’immagine di un senzatetto, di una mano tesa che invoca l’elemosina per strada, dei fantasmi che popolano le fabbriche abbandonate. Segno che i nostri occhi colgono solo la punta dell’iceberg che nasconde decine di migliaia di persone in difficoltà e famiglie che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena neppure per i loro bambini. Lo ha affermato con malcelato sconforto la Caritas, lo dice senza timore dal pulpito della sua chiesa, un prete coraggioso, che sa guardare lontano, oltre questi ultimi lampi d’estate e immagina le conseguenza dell’inverno su questi nostri concittadini disperati. Don Paolo Fini, parroco della Gran Madre e direttore della Pastorale, usa il pulpito per condurre la sua personale battaglia contro la povertà. Guardando in faccia i parrocchiani di Borgo Po e chiedendo loro aiuti concreti, non monetine lasciate cadere nel cestino delle offerte alla fine della messa. D’altra parte lui ha già ricavato dietro la sacrestia un dormitorio per chi non ha più un tetto. Solo cinque letti, per ora, ma che potrebbero moltiplicarsi a dismisura se il suo esempio fosse seguito da altri. È l’accoglienza, questa, non la carità. E la gente ascolta e partecipa come può. Con soldi, vestiti, persino con quel bene ormai preziosissimo che si chiama lavoro. Sembra un po’ quello che noi ragazzi imparammo alla scuola dai Salesiani e che riguarda la Torino di oltre due secoli fa. Con i ragazzi abbandonati per strada e le famiglie ridotte alla miseria. Un insegnamento, quello di Don Bosco che il parroco interpreta con assoluta modernità, coinvolgendo il quartiere e la sua gente. Già perché il caro bollette e l’aumento dei prezzi, anche sui generi di prima necessità, è arrivato anche lì, sotto le volte della basilica. Una lezione soprattutto per la politica che calcola il reddito dei cittadini prima di offrire un aiutino di Stato. E non valuta i rischi e le conseguenze della propria cecità.
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