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La storia

Un cimitero di giovani morti annegati in quello che fu il mare dei torinesi

Da Gonzalo a Oussama, tante tragedie dove una volta si faceva il bagno nei vecchi lidi

Un cimitero di giovani morti annegati in quello che fu il mare dei torinesi

Un ragazzo che annaspa, altri che corrono via, trafelati, si infilano in un canneto e scivolano lontano, avvolti dalle ombre, come fantasmi. Una donna chiama il 112, ha la voce rotta, dice di correre: sirene e luci blu, gommoni che accendono i motori. Elicotteri e droni che si alzano in cielo, sommozzatori che si immergono nelle gelide acque. Tutto inutile. Dopo 48 ore, il giallo del giovane inghiottito dal Po tra Torino e Moncalieri resta senza finale. Con un’altra squadra dei vigili del fuoco a dare il cambio ai colleghi, tutti sospesi tra la speranza di dare la caccia a un fantasma che magari non è neppure mai esistito e l’angoscia di dover ripescare da un momento all’altro un altro corpo da questo fiume che è il simbolo della vita, ma tante vite ha restituito spezzate.


Oussama Cherkaoui ha barattato la sua con una scommessa: attraversare il letto del fiume a nuoto, davanti ai Murazzi. Era il 10 aprile, nel pieno del lungo periodo di siccità interrotto soltanto dalle piogge torrenziali delle ultime settimane. L’acqua sembrava bassa, l’impresa a portata di mano. Ma le correnti hanno avuto la meglio. Oussama è morto prima di compiere 19 anni.

Gonzalo Aguilar, origini argentine e un futuro brillante davanti a sé, di anni ne aveva 22. Ex studente dell’Avogadro, frequentava il MultiDams. E dopo una settimana chiuso in casa a studiare, un venerdì di inizio novembre del 2007, era uscito per distrarsi un po’ senza pensare ai libri.

Gonzalo Aguilar

Una festa di compleanno al Cortile del Maglio attorno alle 20, una bevuta lungo il Po a mezzanotte e mezza, il congedo dalla compagnia. «Torno a casa – aveva detto agli amici, quando era da poco passata l’una - è meglio che vada a dormire. Lunedì ho un esame». Ma a casa Gonzalo non è mai arrivato. È caduto nel Po, al Valentino. E non è più riemerso. L’hanno trovato i sommozzatori, morto. Davanti ai circoli dei canottieri. Annegato, senza che si sia mai riusciti a capire come e perché si fosse avvicinato al fiume.

Come nel giallo internazionale dei due bahamensi, il diplomatico John Blair e il ricercatore Keiron Alrae Ramsey, scivolati in acqua all’altezza del Museo dell’Automobile e ripescati, a due chilometri di distanza l’uno dall’altro, il 4 e 5 giugno del 2019. Storie tutte diverse tra loro, che in comune hanno soltanto il tragico finale.

E il grande fiume. Di cui ormai ci si ricorda soltanto quando si consumano le tragedie. Come se si fosse spezzato il rapporto con quel gigante non sempre buono che, quando gli italiani non andavano ancora in vacanza, per i torinesi era il mare. Con le sue spiagge, le acque balneabili. Un gigante vivo. Amato e temuto. Raccontato e cantato. Da Mario Soldati (che ai Murazzi salvò eroicamente un giovane dall’annegamento) e da Gipo Farassino (clicca qui per il suo Sangon Blues), che per i bagni preferiva il Sangone, con le sue spiagge più selvagge e le acque più basse, adatte anche ai bambini. A Torino c’erano il Lido Savoia, il Lido Meirano, il Lido Spezia.

Fioriti nell’Ottocento e finiti di esistere a metà del secolo scorso. Con i bagnanti che dovevano indossare mutande lunghe almeno fino al ginocchio, attenersi rigorosamente alla separazione delle aree riservate agli uomini e alle donne. Gli stabilimenti erano illuminati la sera, chiudevano alle dieci con tassativo divieto di prendere i bagni durante le ore notturne e la proibizione di bagnarsi la domenica «nelle ore dei divini uffizi». Ma poi arrivò il boom, la Tv, le auto famigliari. Le vacanze nelle pensioni liguri, a Rimini, a Riccione. I lidi torinesi sparirono e con essi il legame con il grande fiume. Che continua a scorrere senza che nessuno se ne accorga. Fino al prossimo lutto, alla prossima alluvione. 

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