l'editoriale
Cerca
IL BORGHESE
19 Luglio 2023 - 07:00
il bar del Palagiustizia all’epoca del nuovo appalato ottenuto dalla cooperativa Liberamensa
C’era il cognome Belfiore dietro le mani allungate sul bar all’interno di quel Palazzo di Giustizia intitolato a Bruno Caccia, il procuratore del cui omicidio Domenico Belfiore è accusato d’essere il mandante. L’omicidio da cui discende il potere di tutta la ‘ndrangheta su Torino e provincia, il momento in cui, dopo aver cacciato i Catanesi, la mala calabrese era diventata dominante. E il cognome Belfiore è ancora il riferimento di tutte le locali, dei capi e capetti, dei vecchi boss ai margini, di coloro che pur galleggiando bene nelle acque della malavita non sono veri affiliati, ma, come scrive il giudice Giorgia De Palma nell’ordinanza che ha portato a misure nei confronti di quattro persone, non è necessario essere membri effettivi «della consorteria» per farne parte: il metodo mafioso è quello che caratterizza.
I principali indagati non sono giovani, non girano armati, annota la giudice De Palma, eppure le vittime delle loro estorsioni avvertono, per i loro noti precedenti criminali, la grandezza di una organizzazione. Non per niente, nelle vicende di usura di questa indagine, le vittime stesse hanno smentito di essere mai state minacciate. Le intercettazioni, stando agli inquirenti raccontano un’altra storia.
I protagonisti di questa vicenda sono essenzialmente tre: Rocco Pronestì, 72 anni, nome più che noto alle cronache giudiziarie, Rocco Cambrea di 62 anni, arrestato dai carabinieri a Laigueglia nel primo giorno di “vacanza”, e Crescenzo “Enzo” D’Alterio, 48 anni. Sono stati loro a prendere il controllo della cooperativa Liberamensa, spolpandola, fino alla sua messa in liquidazione.
È una indagine che parte dalla morte per overdose di un giovane. Uno degli indagati, un cittadino romeno, per motivi slegati al caso chiede, tramite conoscenze, l’intervento di Rocco Pronestì, ex boss di Orbassano arrivato a Torino negli anni ‘70, da tempo abitante ad Albenga. C’è da risolvere la diatriba con un commerciante d’auto ricattato. Quando, tempo dopo, un altro intermediario si mette di mezzo, viene picchiato con una mazza da baseball. Ed ecco che la famiglia Belfiore riemerge, con il consiglio di ricomporre la cosa ché il ferito è fratello di un pentito. Insomma, ci si muove in un ambiente di consorteria e rapporti. Lo stesso di cui fa parte Cambrea, anche lui coinvolto in varie indagini, una sorta di luogotenente di storici clan della zona, “specialista” del gioco d’azzardo, che fa di un bar di via Postumia a Torino il suo ufficio, prestando denaro a strozzo ai giocatori.
ECCO COME FACEVANO: PRESTANOME E RICARICHE SOTTO I MILLE EURO
Pronestì voleva lasciare lo storico buen retiro di Albenga e tornare a Orbassano, a comandare. Ma doveva trovare lavoro alle figlie e ai rispettivi mariti. Cambrea cercava qualcosa di diverso dalla gestione dei prestiti a malati di ludopatia. Scrive la giudice Giorgia Di Palma «Essi non hanno lecite fonti di guadagno, ma come si è visto hanno profitti da attività di usura, estorsione, gioco d’azzardo. Dunque, hanno bisogno d’investire. Ma non potrebbero giustificare in alcun modo la titolarità delle risorse investite, e tali da garantire loro la partecipazione a società, tantomeno la titolarità di aziende poiché hanno ragione di temere l’assoggettamento a misure di prevenzione patrimoniale (...) I due calabresi hanno dunque stretto un’intesa con D’Alterio, che è capace di attribuire loro la titolarità o disponibilità di beni ed utilità (per lo più partecipazioni di società, disponibilità e gestione di aziende) intestandoli a terzi. Le iniziative imprenditoriali in cui D’Alterio coinvolge Pronestì e Cambrea appaiono attentamente progettate, e funzionali ad incrementare la sfera di controllo e gestione nel campo dell’economia “lecita”». Le iniziative prendono corpo a partire dall’autunno 2020, nel pieno della pandemia, e certamente si giovano delle condizioni di crisi in cui versano le società e le imprese». Come il titolare di un supermercato che, già nei guai con altri usurai, si indebita per soli 10mila euro e paga fino a mille euro al mese (e una cassa di birra); il concessionario d’auto fallito impossibilitato ad accedere a crediti o finanziamenti che gira loro i soldi delle assicurazioni dei clienti; un locale ad Arma di Taggia. Pagamenti che i complici fanno passare su schede prepagate o tessere ricaricabili: versamenti da 500 o 800 euro, per stare sotto i radar. Con quel versamento che suona come una vera beffa - l’ennesima - al sistema dei controlli: 997 euro, appena al di sotto della fatidica soglia dei mille euro.
Quando, nel settembre del 2020, D’Altero compare, Liberamensa è nei guai: aveva sì vinto - in un consorzio temporaneo di imprese in cui c’era anche Abele Lavoro, poi sfilatasi, ironia della sorte dopo che la precedente gestione aveva avuto guai giudiziari per infiltrazioni malavitose - l’appalto del Comune di Torino per il bar del Palagiustizia e del ristorante del carcere, un luogo che due giorni alla settimana apre anche ai clienti comuni, un progetto di reinserimento lodato e incensato; ma la cooperativa è indebitata, e non paga, tanto che l’amministrazione penitenziaria chiude l’esperienza nel gennaio 2020. Dice agli inquirenti Piero Parente, uno dei fondatori: «L’alternativa era chiudere».
Alla presidenza c’è Silvana Perrone, che guida anche l’Isola di Ariel, realtà attiva nel campo dell’accoglienza dei migranti e dell’inclusione. È lei a presentare agli altri un certo Mauro Allegri, imprenditore alimentare, che vanta addirittura contatti con il Vaticano, disposto a investire assieme a tal Mauro Amoroso. Nessuno dubita, i due in poco tempo assumono la guida della cooperativa. Ma senza investire. Anzi, a un certo punto usano un decreto ingiuntivo nei confronti dell’Isola di Ariel, per un ammontare di 184mila euro, soldi dovuti alla cooperativa che si vogliono suddividere D’Altero e i suoi soci occulti, Cambrea e Pronestì. Proprio D’Altero ha presentato Allegri, prestanome e pregiudicato per truffa, a Perrone. La quale (comunque non indagata, questo va precisato), annota sempre la giudice, «presenta dei collegamenti con il “gruppo Belfiore” in quanto suo fratello, Perrone Gennarino detto Gianni è persona che frequenta abitualmente Belfiore Giuseppe (fratello di Salvatore Belfiore detto “Sasà”, e di Domenico detto Mimmo)». Anche il panificio in carcere viene preso e spolpato ed espropriato, per dei denari da investire altrove e ricominciare.
I più letti
CronacaQui.it | Direttore responsabile: Andrea Monticone
Vicedirettore: Marco Bardesono Capo servizio cronaca: Claudio Neve
Editore: Editoriale Argo s.r.l. Via Principe Tommaso 30 – 10125 Torino | C.F.08313560016 | P.IVA.08313560016. Redazione Torino: via Principe Tommaso, 30 – 10125 Torino |Tel. 011.6669, Email redazione@cronacaqui.it. Fax. 0116669232 ISSN 2611-2272 Consiglio di amministrazione: Presidente Massimo Massano | Consigliere, Direttore emerito e resp. trattamento dati e sicurezza: Beppe Fossati
Registrazione tribunale n° 1877 del 14.03.1950 Tribunale di Milano
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo..