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IL BORGHESE
06 Gennaio 2024 - 06:30
Gianni Agnelli e Giulio Andreotti
Correva l’anno 1966 e l’avvocato Gianni Agnelli sorrideva compiaciuto a Giulio Andreotti, nuovo ministro dell’Industria del governo Moro, giunto a Torino per portare gli omaggi del governo al vero sovrano sabaudo nella Capitale dell’auto. In doppiopetto antracite rigorosamente abbottonato il ministro, in giacca sportiva l’Avvocato con le mani sprofondate nelle tasche. Era un bel giorno, Torino ospitava il Salone internazionale dell’Automobile, c’era un sole splendente e splendenti erano pure i dati riferiti alle quattro ruote Fiat. Il ministro se li era appuntati a penna, i numeri, proprio accanto al dattiloscritto dell’intervento. Numeri vincenti: nei primi otto mesi dell’anno erano state prodotte (e in gran parte esportate) 824.725 automobili e 52.350 autocarri, con aumenti della produzione rispetto all’anno precedente del 10,6 e del 15,8%. Secondo le previsioni, forse un po’ ottimistiche, a fine anno la produzione sarebbe arrivata a 1.300.000 veicoli.
Scrivere oggi cifre che per i tempi erano quasi “ordinarie” con la Fiat di Gianni Agnelli che quell’anno aveva appena concluso un grande accordo industriale con l’URSS per gli stabilimenti di Togliattigrad, sembra quasi di raccontare la caduta dell’impero. Oggi di auto prodotte in Italia l’ex Fiat/ Stellantis ne conta poco più di 700mila, Mirafiori sprofonda al -9 per cento della produzione della 500 elettrica, la Maserati agonizza al -46% in attesa che (magari) vada in produzione la “Quattroporte” l’anno prossimo. E il ministro Adolfo Urso parla di un obiettivo da raggiungere scrivendo “un milione di vetture” nei buoni pensieri del 2024.
Intanto la realtà ci dice che le elettriche costano troppo care e che le Maserati sono sempre più per pochi, grazie anche alla concorrenza. Che dire? Magari che alla Fiat (pardon Stellantis) servirebbe un’auto media, con consumi medi e costi medi? Ricordare la Uno o la Punto? Bene, serve quella roba lì per sopravvivere.
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