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IL BORGHESE
18 Maggio 2024 - 06:30
il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti
Con le dimissioni di Fabrizio Palenzona dalla poltronissima in Crt, i suoi esposti alla magistratura e al Mef, i sussurri e poi le grida di interessi personali nell’istituzione di via XX Settembre con il fine di spartirsi poteri e incarichi tra i consiglieri, il velo di silenzio ossequioso nei confronti delle 88 fondazioni italiane di origine bancaria, si è rotto. E sono riemersi tanti interrogativi. E in particolare: le fondazioni sono enti privati o pubblici? E ancora: c’è il rischio di un’autogestione di tipo politico se non addirittura feudale come si potrebbe evincere dalla corsa di chi siede nel cda ad ottenere incarichi ben remunerati in diverse realtà che spaziano dalla finanza, al terzo settore in cui proprio la Crt pare eccellere? Quesiti che induco a pensare che il ciclone torinese abbia acceso un faro sulla governance e sul sistema di potere imbastito attorno ai Consigli di amministrazione, a cominciare dalle Top cinque in Italia. Che, in ordine di grandezza per patrimonio (dati Acri riferiti al 2022) sono: oltre a Crt (3,6 miliardi) , Cariplo (7,15 miliardi), Compagnia di San Paolo (6,35 miliardi), Cariparo (2,15 miliardi) e CariFirenze (1,7 miliardi).
Più che comprensibile, dunque, l’allarme lanciato qualche giorno fa da Giovanni Azzone, presidente dell’Acri (l’organizzazione che rappresenta le Fondazioni di origine bancaria e le Casse di Risparmio Spa) sulla necessità di “proteggere il sistema per salvaguardare l’immagine della categoria”.
In che, letto pur senza malizia, riapre una vecchia questione che, a partire dagli anni 90 del secolo scorso quando sono nate le fondazioni con la cosiddetta legge Amato, ha fatto discutere, o meglio mugugnare, gli economisti, i banchieri e la politica. Ma sempre sottotraccia perché, in questo sistema di potere non c’è spazio per il dissenso e l’innovazione. E, dice qualcuno, neppure per una cristallina trasparenza sull’erogazione dei fondi sul territorio. Eppure le leggi e le loro modificazioni si sono succedute, a firma di personaggi autorevoli come Giuliano Amato, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi, Giulio Tremonti. Ed è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con una sentenza che ha sollevato molti dubbi, ha definito le fondazioni come enti privati di utilità sociale. Ma nessuno ha messo mano in quelle cupole che regolano la gestione dei forzieri delle fondazioni bancarie.
Inutile aggiungere che in questa disciplina si è invocata da più parti una revisione, se non addirittura una riscrittura, delle regole ricorrendo ad una nuova legge che superi e migliori quelle precedenti, imponendo - si chiede a più voci dai territori - una regolamentazione soprattutto sulla spartizione di incarichi e privilegi. In dibattito è aperto, specie dopo i fatti di Torino a cui si aggiungono anche le parole dell’ex presidente Palenzona che, proprio ieri, ha accusato la città di non avere una classe dirigente facendo riferimento, ci è parso di capire, proprio a quel sistema che domina il territorio, ne decide le sorti, ma in pratica ne frena lo sviluppo.
Servirebbero finalmente fatti, non parole. I mugugni magari dettati da una sconfitta come quella del gigante alessandrino, non spostano le montagne. Ma i fatti tardano a venire. E non si è giunti ad una riforma della legge neppure dopo la nomina del ministro Giorgetti all’Economia, forse anche per i prudenti consigli dell’ancora potentissimo Giuseppe Guzzetti, il politico e banchiere milanese, che è stato presidente della Fondazione Cariplo per 23 anni mentre ricopriva anche il ruolo di capo incontrastato dell’Acri. Praticamente un feudatario che ha firmato nel 2015 con Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni il protocollo che disciplina gli aspetti patrimoniali e l’organizzazione delle fondazioni. Una sorta di magna carta. Che è ancora in vigore.
Venendo ad oggi è evidente che vicende come quella che hanno coinvolto la Crt assumono una valenza nazionale e vanno risolte con scelte anche coraggiose. La sensazione è che occorrerebbe un forte segnale di rinnovamento della governance delle fondazioni. Un passo fondamentale per tutelare da un lato realtà che, non dimentichiamolo, gestiscono circa 40 miliardi di euro ogni anno. E dall’altro per garantire la necessaria trasparenza negli atti e nelle erogazioni dei fondi da parte delle stesse Fondazioni verso le attività del territorio.
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