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Il Borghese
18 Agosto 2025 - 05:50
Si chiama “staffetta”: è così che si svolge il viaggio dei cuccioli dai canili del sud fino al nord. Ma se la parola staffetta evoca un passaggio di testimone, qui significa solo che i furgoni (con un solo autista) fanno oltre mille chilometri con una serie di tappe, ognuna delle quali è una consegna.
Patata - non uso il suo nome, né pubblico foto perché nella sua ancor breve storia ci sono state persone che è meglio non possano riconoscerla - è arrivata così. Appuntamento prima delle 7 del mattino nello spiazzo di un’azienda appena fuori dall’autostrada. Nel giro di un paio d’ore arrivano diversi furgoni con la scritta “trasporto animali vivi”. A ogni arrivo, qualcuno si muove dalla sua auto e raggiunge il furgone. Gli autisti scendono, controllano elenchi e nomi e consegnano il cucciolo. «Certo che ‘sti autisti hanno delle facce... tutti tatuati» dice una signora in attesa, poi mi guarda (sono in maniche corte) e cambia discorso.
Ci sono cuccioli stravolti dal lungo viaggio nelle gabbie, ci sono persone che raccontano di essere alla terza o quarta “adozione”.
Il viaggio di Patata è costato 100 euro, ma c’è chi paga anche 150, 200, dicono persino di più. Ricevute? Manco a parlarne. Molte di queste consegne sono effettuate da volontari, che aiutano quei canili al sud che letteralmente scoppiano. Altri hanno scoperto un mestiere. C’è chi stima un business di due o tre milioni di euro l’anno... E ci sono canili che non rifiutano (anzi, sollecitano) donazioni.
Dopo, l’Enpa lo dice chiaramente, tanti di coloro che avevano scelto il cucciolo grazie a un video sui social, cambiano idea: perché quell’animaletto è magari traumatizzato, non è come uno comprato in un allevamento o in un negozio in centro. E lo portano a un canile, qui al nord.
Patata ha la sua cuccia, e si spera il suo mondo, in un angolo che ha scelto del salotto e poi nelle campagne qui attorno, con noi. Perché un cucciolo non è un “like” sui social...
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