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Il Borghese
21 Dicembre 2025 - 05:50
Prima le famiglie con i bambini come scudi umani o come maschera di utilità sociale, poi le vere maschere, quelle nere o i cappucci, dei violenti che sparano razzi ad altezza d’uomo contro la polizia o incendiano cassonetti (a proposito: a chi toccava, nel caso, toglierli dalle strade per non fornire armi o barricate ai manifestanti?), in mezzo qualche volto noto come il cantante Willie Peyote, oppure i sindacalisti di Cgil e Fiom Giorgio Airaudo - già garante di Aska nel progetto dei beni comuni - ed Edi Lazzi. Ma anche il deputato Marco Grimaldi, la consigliere regionale Alice Ravinale, i consiglieri comunali Busconi e Sara Diena. Tutti di Avs, come l’assessore al Welfare Jacopo Rosatelli, «qui - ha detto - per esprimere il mio profondo dissenso nei confronti dell’azione del governo e della sua visione. Sono qui per rivendicare il patto di collaborazione».
Quel patto per cui, secondo Airaudo, «Il Comune deve riprendere quella strada, che è una strada di dialogo, che è una strada che mette a disposizione del quartiere spazi. Ovviamente il discrimine della non violenza è fondamentale, per me lo è, io sono un obiettore di coscienza».
Entrambi immagino siano andati con quella parte di corteo che ha finto di non vedere cosa facevano i più violenti in corso Regina Margherita. Di non vedere i passanti rifugiati nei portoni in via Napione. Come accaduto per l’attacco alla Leonardo, nel corteo Pro Pal dove c’erano anche i sindacati. Sempre troppo comodo dire che è «una parte» o «una minoranza». Intrupparsi nello stesso corteo significa legittimare, di fatto, quel percorso di violenza. Quando allo stadio scoppiano violenze, o partono cori razzisti, viene chiusa l’intera curva, non si bada a chi è stato o meno (al di là di quando viene individuato e daspato). Se vogliamo stare a livello più elementare, è come quando a scuola l’intera classe beccava la nota sul registro per gli atti di pochi.
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Se la politica torinese ha un poco di memoria, dovrebbe ricordare il caso di Stefano Alberione, assessore al bilancio della giunta Castellani, anno di grazia 1999. Assessore di Rifondazione comunista che prese parte a un corteo finito con la devastazione del Palagiustizia appena completato e lanci di molotov contro la Camera di Commercio. E il sindaco Valentino Castellani gli tolse le deleghe.
Il sindaco Stefano Lo Russo, che aveva proprio Castellani in prima fila al suo discorso/bilancio di fine anno alle Ogr, pochi giorni fa, intende fare la stessa cosa? Non è una domanda capziosa, né mossa dal fatto che già ieri sera si chiedevano le dimissioni dell’assessore, ma un dato di fatto: da un lato, giustamente, il sindaco annuncia la cessazione di un patto perché la violazione degli accordi era lampante - salvo provare a rilanciarlo -, dall’altro un pezzo della sua giunta contesta questa situazione. Insomma, non sembra una cosa che faccia bene all’unità di una amministrazione. Una zona grigia, a dir poco, come quelle presenze al corteo che sorvolano su mezz’ora di guerriglia urbana come fosse un semplice episodio. O connivenze inaccettabili.
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