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La decisione
17 Febbraio 2025 - 14:00
(Photo credit Angelo Mastrandrea/Il Post)
La recinzione costruita tra Liguria e Piemonte per fermare la peste suina africana si è rivelata un buco nell’acqua. Lunga 270 chilometri e costata 10 milioni di euro, avrebbe dovuto isolare i cinghiali infetti, ma gli animali continuano a passare come se niente fosse. Cancelli aperti, pali abbattuti dal vento e zero manutenzione: la barriera non ferma il virus, e ormai perfino la Regione Piemonte valuta di rimuoverla.
La peste suina, un virus che colpisce cinghiali e maiali senza trasmettersi all’uomo, ha fatto il suo ingresso in Italia il 6 gennaio 2022 con il ritrovamento di un cinghiale morto a Ovada. Da lì, l’epidemia si è diffusa senza controllo. A dicembre scorso, nuovi casi sono stati segnalati tra Ovada e Molare, poi nel novarese, portando il totale piemontese a 688 cinghiali infetti. L’epidemia non si ferma e ora il governo Meloni, con il commissario straordinario Giovanni Filippini, ha deciso di cambiare strategia: via la recinzione, spazio agli abbattimenti.
Alessio Abbinante, presidente regionale dell’ANUU (Associazione nazionale uccellai e uccellatori), ha spiegato che la caccia al cinghiale riprenderà nella "zona cuscinetto", con squadre di 16 cacciatori. Una misura necessaria per ridurre i contagi, dicono i cacciatori, ma che non tutti condividono. Greenpeace e altre associazioni ambientaliste sostengono che l’abbattimento di massa è una strategia fallimentare già vista in altri paesi europei e che la vera soluzione sarebbe rivedere il modello degli allevamenti intensivi.
Le conseguenze economiche dell’epidemia sono devastanti. Nel solo primo anno, 8.000 maiali sani sono stati abbattuti negli allevamenti a conduzione familiare, e molti agricoltori hanno dovuto chiudere i battenti nonostante i risarcimenti della Regione. Il settore suinicolo piemontese, con 1,3 milioni di maiali e un giro d’affari da un miliardo di euro, è in ginocchio. Il blocco delle esportazioni verso Cina, Corea del Sud, Messico e Taiwan sta causando perdite per 20 milioni di euro al mese.
Nonostante le misure drastiche, il virus ha comunque raggiunto gli allevamenti intensivi più a nord. A Frassineto Po, un solo caso di peste suina ha costretto un’azienda ad abbattere 2.400 suini. Il rischio è che la malattia si diffonda ancora, con danni incalcolabili anche per i lavoratori dei macelli e le ditte di trasporti.
Dopo i fallimenti della recinzione, il governo ha varato un nuovo piano: meno barriere fisiche e più abbattimenti selettivi. Ma l’Europa frena. A luglio 2024, la Commissione Europea ha inviato esperti nelle zone infette per valutare la situazione e ha chiesto all’Italia di evitare abbattimenti indiscriminati, puntando invece sul monitoraggio e sul contenimento. Il nuovo Piano nazionale per la peste suina, comunicato a Bruxelles dal ministero della Salute, prevede comunque nuove "barriere preventive". Ancora una volta, una soluzione che potrebbe rivelarsi inefficace.
Il virus continua a diffondersi in tutta Italia. Negli ultimi due anni si sono formati 48 focolai, con casi segnalati nel Parco Nazionale del Cilento, in Campania, e persino negli allevamenti al pascolo in Calabria. Nel 2024 sono stati abbattuti 31mila cinghiali e la "zona rossa" è stata rimossa a Roma, ma la peste suina resta una minaccia.
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