l'editoriale
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09 Gennaio 2022 - 08:31
Dieci anni di promesse di riqualificazione e 25 di abbandono. Tra le occupazioni dei senzatetto e i rave party illegali. A metà strada tra un passato carico di ricordi dell’aristocrazia operaia torinese e un futuro da complesso multifunzionale dedicato ai servizi c’è un presente capace di evocare un solo sentimento: desolazione. Per l’ex Fimit, al fondo di via Rossetti, ogni progetto - fino ad oggi - è caduto nel vuoto. Per riqualificare l’area, oggi al servizio del degrado, serviva un investimento di almeno 110 milioni di euro.
La pandemia ha portato via anche quelle poche certezze e oggi il complesso appare come un gigante dormiente in attesa di essere svegliato. Ma dentro le vene di questo colosso, desolato e decadente, continua a scorrere un veleno: l’amianto. Nell’ex Manifattura Tabacchi e nell’area adiacente della ex Fimit (che si occupava della produzione di materiali isolanti fino al 1996, anno della chiusura) ce n’è ancora in grandi quantità. Intrufolandosi in questi spazi immensi, avvolti del fascino tipico dei luoghi abbandonati, ci si accorge della sua presenza solo grazie ai cartelli di avvertimento appesi sui muri dei capannoni.
La totale bonifica dell’area, dunque, sarà necessariamente il primo passo da compiere per trasformare questo luogo. Una storia che inizia da lontano. Lo stabilimento è stato dismesso nel 1998 mentre il primo edificio risale al 1830, il cotonificio dei fratelli Vanzina. E ai tempi la posizione della fabbrica era strategica per la presenza del canale che alimentava la vicina Manifattura. Tra il 1850 e il 1860 ecco un ampliamento dello stabilimento che passa nelle mani della ditta Gaston che su consiglio di Cavour trasforma la fabbrica in stabilimento per la brillatura del riso, utilizzando innovativi macchinari olandesi.
Quando le operazioni di brillatura del riso vengono trasferite in provincia di Vercelli, lo stabilimento del Regio Parco viene chiuso. Solo alla fine degli anni ‘50 del ‘900 subentra la Fimit, che si occupa della produzione di materiali isolanti. Il portone principale, imbrattato e semi-spalancato, dà il benvenuto a chi osa avvicinarsi. Tutto intorno una discarica da brividi e piante cresciute a dismisura. Entrando in quella che una volta era un edificio a uso industriale scopriamo che molti dei locali sono stati devastati, in parte dai numerosi rave party che fino a 6-7 anni fa andavano per la maggiore. Fino a quando la proprietà non ha deciso di collocare una cancellata alta tre metri. Da qualche settimana, tuttavia, il cancello è stato riaperto è l’incubo è ricominciato.
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