Fu un’esecuzione spietata, «senza l’attenuante della provocazione». Un omicidio a bruciapelo, scatenato da una banale lite per un parcheggio. La Corte di cassazione nei giorni scorsi ha confermato la sentenza della Corte d’appello a trent’anni di reclusione per Stefano Barotto, l’uomo che, quando aveva 70 anni, il 18 ottobre 2019, uccise a fucilate il vicino di casa, Assuntino Mirai, al Crò di Pinasca, nel Pinerolese. Assassino e vittima litigavano spesso per motivi futili, legati a una vicinanza forzata. A scatenare la furia del settantenne il giorno del delitto era stata una lite nata per un’auto posteggiata davanti alle abitazioni di assassino e vittima. Barotto aveva freddato il vicino con tre colpi di fucile, prima sparandogli alla gamba, poi mettendogli la canna in gola e facendo esplodere altri tre colpi. Dopo l’esecuzione, Barotto era andato in un bar di Pinasca, a bere un bicchiere di vino. Dopo aver trascorso la notte in una grotta, forse per sfuggire all’arresto, l’anziano era stato fermato dai carabinieri di Pinerolo. L’inchiesta era stata coordinata dalla pm Rossella Salvati, che in primo grado aveva chiesto e ottenuto la condanna a 30 anni. In appello l’avvocata della difesa, Sheila Foti, aveva chiesto le attenuanti generiche spiegando che l’imputato sarebbe stato provocato, quel giorno, da pesanti insulti proferiti da Mirai. «Barotto – aveva dichiarato la legale - non ha un’aspettativa di vita elevata. Alla sua età confida in un aiuto di lorsignori». Ma i giudici, accogliendo la richiesta del pg Marcello Tatangelo, avevano confermato la condanna a 30 anni. La Cassazione ha reso definitiva la sentenza, considerata «giusta» dagli avvocati di parte civile Cristian Scaramozzino e Cristina Lavezzaro, che commentano: «Siamo soddisfatti, è stata accolta la linea della parte offesa. L’attenuante della provocazione è stata esclusa e ciò significa che si è trattato di un omicidio cruento, a sangue freddo ed eseguito per futili motivi». Durante il processo Barotto aveva detto: «Chiedo scusa alla famiglia di Mirai e alla mia, perché alla fine sono entrambe rovinate».
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