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La salita agli alpeggi
11 Giugno 2023 - 09:00
Gli alpeggi delle vallate torinesi sono stati “invasi” da oltre 36mila mucche: in questi giorni è cominciato il trasloco dei capi di 860 allevamenti, confermando una tradizione che si ripete da 5mila anni. Ma oggi è a rischio: «Bisogna difendere i nostri alpeggi e i nostri margari significa difendere il cuore della nostra ricchezza e della nostra economia» lancia l’appello Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino.
I numeri del settore
Per cento giorni 36.300 mucche di 860 allevatori vivranno negli oltre 600 chilometri quadrati di pascoli, circa il 10% dell’intero territorio della provincia di Torino.
In questi giorni le mandrie pascolano le erbe fiorite a 1.000-1200 metri di quota. Ma, nel giro di una settimana, saliranno a 1.500-1800 metri. A luglio, infine, arriveranno oltre i 2.000, dove le erbe fioriscono solo in piena estate. Tutti i pascoli vengono utilizzati secondo tecniche di consumo delle erbe ben precise dove le mucche brucano, favoriscono la ricrescita delle erbe e concimano. Fino a quando tutti i prati di montagna saranno brucati e scatterà il momento di tornare in pianura.
Circa la metà delle 36mila mucche sono bovini da carne, dove prevale la razza piemontese.
Le bovine da latte in alpeggio producono oltre 11 milioni di litri a stagione che, nei circa 200 caseifici d’alpeggio autorizzati, vengono trasformati in oltre 80mila forme di formaggio stagionato: Toma, Plaisentif, il formaggio delle violette, il Cevrin e il Blu erborinato. Cui si aggiungono circa 200mila panetti di burro da mezzo chilo.
«L’economia d’alpeggio delle vallate torinesi - ricorda Mecca Cici - ha un fatturato di oltre 7 milioni di euro ma sconta altissimi costi di produzione».
Spesso i formaggi si portano a valle ancora con il mulo o, nei casi migliori, con il fuoristrada. Se una mucca si fa male o l’auto deve andare dal meccanico, è una mezza tragedia. Senza parlare degli attacchi dei lupi
Bruno Mecca Cici presidente Coldiretti
L’appello di Coldiretti
Coldiretti ricorda come l’allevamento in alpeggio si basi su di un lavoro difficile in zone assolutamente disagiate: «Spesso i formaggi si portano a valle ancora con il mulo o, nei casi migliori, con il fuoristrada. Se una mucca si fa male o l’auto deve andare dal meccanico, è una mezza tragedia. Senza parlare degli attacchi dei lupi, per cui molti allevatori rinunciano a portare in montagna gli ovini e i caprini. Senza l’economia d’alpeggio il territorio montano sarebbe abbandonato e del tutto improduttivo. E non esisterebbero i formaggi tipici della provincia di Torino. Difendere i nostri alpeggi e i nostri margari significa difendere il cuore della nostra ricchezza enogastronomica. E vuol dire difendere la cura del territorio e sostenere tanti posti di lavoro che, in molti casi, sono rappresentati da giovani che amano il rapporto con gli animali e una vita che segue i ritmi della natura».
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