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I danni

Agricoltura in ginocchio per il maltempo: il bilancio di una estate da incubo

I contadini chiedono aiuti contro pioggia e grandine: «La Regione ci protegga»

Agricoltura in ginocchio per il maltempo: il bilancio di una estate da incubo

Prima la pioggia, che ha distrutto tutto quello che ha trovato nei campi. Ed è andata “sprecata”, visto che non c’è traccia degli invasi chiesti dagli agricoltori per trattenere l’acqua e usarla quando manca. Come nelle scorse settimane, quando siccità e bombe d’acqua hanno dato il colpo di grazia di questa estate da incubo. L’ennesima per l’agricoltura, uno dei settori fondamentali per la provincia di Torino e per il Piemonte. Eppure gli appelli dei diretti interessati continuano a rimanere inascoltati.

La conta dei danni

«Abbiamo visto la massima espressione del cambiamento climatico, tra piogge continue, violente grandinate e picchi di 40 gradi» esordisce Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino. Il risultato, in alcune zone, è che «il maltempo ha distrutto il lavoro di un anno o più».
Gli esempi sono tantissimi: «Penso ai pascoli in Valsusa colpiti da frane e inondazioni, che avranno bisogno di almeno due anni per riprendersi. E al fieno, che è marcito e andrà comprato, a fragole e ciliegie, alla pessima annata di grano e frumento: il raccolto è stato dimezzato e la qualità è bassa, visto che hanno bisogno di sole e caldo. Buona parte verrà usato per fare mangime perché non ha le proprietà necessarie per fare pane».

In questi giorni si vedrà la situazione del mais: «Le piante sono state “allettate” dalle raffiche di pioggia e vento - riporta Tommaso Visca, presidente di Confagricoltura Torino - Perderemo almeno il 30% della produzione nelle zone più colpite, a cavallo fra le province di Torino e Cuneo». Il “momento del giudizio” sta arrivando anche per l’uva: «Sappiamo già che le malattie come la peronospora sono favorite dall’umidità e infatti i viticoltori hanno dovuto aumentare i trattamenti» allarga le braccia Mecca Cici.

LA CRISI SENZA PRECEDENTI DELLE NOCCIOLE: «SERVE LO STATO DI EMERGENZA»

Raccolto dimezzato e costi che non bastano a ripagare le spese: così i cambiamenti climatici mettono in difficoltà il comparto “corilicolo”, quello delle nocciole. Alle prese con periodi piovosi che si alternano alla siccità, che favoriscono stress e malattie. E, di conseguenza, compromettono la produzione: si parla di perdite vicine al 50%, non ripagate da un prezzo di mercato arrivato a una cifra fra i 320 e i 420 euro al quintale (battuto alla Fiera di Castagnole Lanze). «Negli ultimi 3 anni le rese non sono state all’altezza delle aspettative, compromettendo la sostenibilità delle imprese» evidenzia il presidente di Confagricoltura Piemonte, Enrico Allasia. «La situazione è grave e preoccupante per l’economia dell’intero territorio piemontese - spiega Mauro Bianco, presidente di Coldiretti Alessandria e membro di giunta di Coldiretti Piemonte con delega territoriale al settore corilicolo -. In 10 anni il comparto ha pressoché raddoppiato gli ettari di superfici coltivate, passati da 15mila a quasi 28mila ettari di superfici coltivate. Intanto si è assistito a una progressiva riduzione dei volumi, dalle colline delle Langhe agli impianti di pianura. Situazione che si aggrava ulteriormente anche per la presenza della fauna selvatica». Da qui la richiesta dello stato di emergenza alla Regione, che dovrebbe essere sensibile al tema, visto che anche il governatore Alberto Cirio possiede dei campi di nocciole: «Bisogna fare ricerca scientifica per capire le cause di questi risultati estremi. Serve un sostegno alla corilicoltura e alle produzioni di qualità, che aiutano a preservare i territori» concludono Cristina Brizzolari, presidente di Coldiretti Piemonte, e Bruno Rivarossa, delegato confederale. Confragricoltura, invece, ha scritto a Cirio e a Paolo Bongiovanni, l’assessore regionale all’Agricoltura: obiettivo, «chiedere un “tavolo di comparto” e un piano strategico articolato da attuare in tempi rapidissimi, con fondi che permettano alle imprese di investire e sopravvivere».

Come intervenire

Aziende agricole e sindacati non sono in grado di quantificare i danni di quest’estate ma si temono spese e mancati ricavi per miliardi. Senza i necessari risarcimenti da parte delle assicurazioni: «Sono intervenute ma si fa fatica, molti agricoltori non hanno ancora preso abitudine a stipulare le polizze» ammette Visca. Il problema sta nei costi: «Ci vorrebbero polizze agevolate con fondi pubblici, altrimenti è un cane che si morde la coda. E intanto anche i tassi di interesse sono alti e investire per riparasi dal maltempo è difficile». Concorda Mecca Cici: «Serve una riforma delle assicurazioni ma anche aiuti per consentire di attrezzarci: da doccette e ventole per gli animali accaldati alle coperture per evitare che la frutta bruci o venga colpita dalla grandine. Gli enti pubblici devono anche lavorare sugli invasi, altrimenti continuiamo a sprecare l’acqua che cade: la Regione non ci ha dato risposte».

Un’altra strada potrebbe essere la ricerca, cercando metodi per proteggere le piante da agenti atmosferici, malattie e insetti: «Dobbiamo puntare su produzioni più resistenti - fa un esempio Visca -Penso a mais alto 2 metri invece di 4: sarebbe più resistente a un clima che è cambiato: una volta le calamità naturali erano una sfortuna ogni 5 anni, ora sono un’abitudine che provoca anche danni ai capannoni delle aziende agricole. Da me le tegole sono volate via e hanno spaccato i pannelli fotovoltaici».

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