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Economia

La rivoluzione dolce del vino biologico del Piemonte

Vino biologico in Piemonte: 4.700 ettari nel 2023 (+353% dal 2012). Come produttori e cooperative stanno cambiando la viticoltura tradizionale

La rivoluzione dolce del vino biologico del Piemonte

Nelle colline piemontesi, dove ogni vigna racconta secoli di tradizione vitivinicola, sta accadendo qualcosa di straordinario. Non è una rivoluzione rumorosa, ma un cambiamento quieto che sta trasformando il modo di fare vino in una delle regioni più prestigiose d'Europa. Il protagonista? Il vino biologico che, da scelta di pochi visionari, sta diventando una strategia sempre più diffusa.

UN NUOVO MODO DI PENSARE L'AGRICOLTURA CHE CONQUISTA IL MERCATO
La viticoltura biologica non è solo una certificazione da appendere in cantina: è un cambio di mentalità che coinvolge produttori, territori e comunità intere. In un'epoca in cui i consumatori guardano sempre più attentamente alle etichette dei prodotti che acquistano, il biologico rappresenta una risposta concreta alle preoccupazioni ambientali e di salute.

I dati, infatti, parlano chiaro: secondo il report di Sinab realizzato da Ismea in collaborazione con Ciheam e i dati FederBio, l'Italia si è conquistata un posto di primo piano nella produzione mondiale di vino biologico, con ben 133.000 ettari di vigneti certificati nel 2025. Il Piemonte non è da meno: secondo Nomisma Wine Monitor, i vigneti biologici hanno infatti superato i 4.700 ettari nel 2023, registrando una crescita del 353% rispetto al 2012.

Tradotto in percentuale, significa che quasi il 10% dei vigneti piemontesi ha abbracciato il biologico. Può sembrare ancora poco, ma rappresenta un trend inequivocabile: sempre più produttori stanno scommettendo su questo approccio. E il mercato? Risponde presente. Soprattutto nel Nord Europa e in Canada, l'etichetta biologica non è più un semplice valore aggiunto, ma spesso un requisito indispensabile per entrare negli scaffali della grande distribuzione.

IL VALORE DELLA COLLABORAZIONE PER UNA TRANSIZIONE SENZA PAURE
Dietro questi numeri c'è una realtà spesso sottovalutata: le cooperative vitivinicole. Per i piccoli produttori, infatti, la transizione al biologico può essere infatti decisamente costosa, oltre che complessa. Serve formazione, assistenza tecnica, investimenti in nuove attrezzature e, soprattutto, la capacità di affrontare le annate difficili quando le rese potrebbero diminuire. E, soprattutto, nel mondo delle coltivazioni biologiche non esistono scorciatoie chimiche per risolvere i problemi, bisogna imparare a leggere i segnali della natura e ad anticipare le sue mosse. È un approccio che può spaventare chi è abituato alle certezze delle tecniche agricole più moderne, ma è proprio qui che emerge il valore della cooperazione. Quando arrivano le annate difficili – e in viticoltura arrivano sempre – affrontarle insieme è molto più semplice che farlo da soli.

Mettendo insieme competenze, esperienze e risorse, le cooperative rendono possibile il cambiamento anche per chi da solo non potrebbe permetterselo. In questo modo, dalle colline del Barolo continuano ad arrivare Nebbiolo e Barbera biologici che mantengono intatta l'identità territoriale, mentre nell'Astigiano si producono Barbera d'Asti e Nizza DOCG certificati biologici. Dal 2019, inoltre, un gruppo di produttori ha iniziato a conferire uve biologiche per il Dogliani DOCG, dimostrando che anche i vini di grande tradizione possono abbracciare la sostenibilità.

Alcune cantine hanno già linee produttive completamente certificate, altre stanno preparando il terreno per il futuro. Il denominatore comune è la convinzione che il biologico non sia una moda passeggera, ma un modo più coerente di tutelare le risorse naturali e il lavoro di chi dedica la vita alla vigna.

Quello che sta accadendo nelle Langhe e nelle altre zone vitivinicole piemontesi non è solo un cambiamento tecnico, ma culturale. Il vino biologico rappresenta un ritorno alle radici che guarda al futuro: mantiene la tradizione e l'identità territoriale, ma lo fa con una consapevolezza ambientale che le generazioni precedenti non potevano avere.

E forse è proprio questa la chiave del successo: non stravolgere, ma evolvere. Continuare a produrre Barolo, Barbera e Nebbiolo che raccontano la storia del territorio, ma farlo in modo che questa storia possa continuare per le generazioni future.

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