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Scienza e Ambiente

Il buco nell’ozono, 40 anni dopo: a che punto siamo?

Dal grido d’allarme del 1985 al Protocollo di Montreal: come la cooperazione internazionale ha avviato la guarigione dell’ozonosfera

Il buco nell’ozono, 40 anni dopo: a che punto siamo?

Quarant'anni fa, nel 1985, un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature rivelava al mondo la scoperta del buco nell’ozono sopra l’Antartide. A firmarlo erano Joseph Farman, Brian Gardiner e Jonathan Shanklin del British Antarctic Survey. I tre scienziati avevano documentato un preoccupante assottigliamento dello strato di ozono — oltre il 40% in meno — collegandolo alla presenza nell’atmosfera dei clorofluorocarburi (Cfc), composti chimici largamente utilizzati all’epoca in bombolette spray, frigoriferi e condizionatori.

Quella scoperta portò in breve tempo a un accordo storico: il Protocollo di Montreal, firmato nel 1987 da tutti i paesi del mondo. Questo trattato stabilì il bando graduale dei Cfc e segnò uno dei momenti più significativi nella storia della cooperazione ambientale internazionaleI risultati cominciano a vedersi. Le misurazioni mostrano un lento ma costante aumento della densità della colonna di ozono, e una diminuzione dell’area interessata dal buco, anche se con forti variazioni da un anno all’altro. Secondo le proiezioni dei modelli climatici, i livelli di ozono torneranno simili a quelli degli anni Settanta entro il 2065 sopra l’Antartide, e qualche decennio prima nella regione artica.

Il meccanismo chimico alla base del buco nell’ozono è ben noto. Quando le temperature stratosferiche scendono sotto i -80°C — condizione tipica dei cieli antartici — si formano le cosiddette nubi stratosferiche polari. All’interno di queste nubi, i composti di cloro rilasciati dai Cfc reagiscono in modo catalitico con l’ozono, distruggendolo ripetutamente. Paradossalmente, il cambiamento climatico rischia di interferire con il recupero dell’ozonosfera. Nonostante queste compliazioni, il Protocollo di Montreal ha avuto anche effetti positivi sul clima. I Cfc, oltre a danneggiare l’ozono, sono potenti gas serra. La loro eliminazione ha quindi contribuito a limitare il riscaldamento globale. Inoltre, l’accordo ha previsto aggiornamenti: l’emendamento di Kigali del 2016 ha introdotto limiti anche sugli idrofluorocarburi (Hfc), gas sostitutivi dei Cfc che, pur non danneggiando l’ozono, hanno un forte impatto sul clima. Secondo gli scienziati, questa misura potrebbe ridurre l’aumento di temperatura previsto da qui a fine secolo tra 0,3 e 0,5°C.

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