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16 Aprile 2025 - 18:45
Il record man tra le montagne non vuole smettere di stupire
Sette ore, 43 minuti e 45 secondi. È il tempo con cui Filip Babicz ha riscritto la storia dell’alpinismo attraversando in solitaria e senza corda le quattro creste del Cervino. Un’impresa da record che per lui è solo una tappa di un percorso che non prevede veri traguardi ma un costante innalzamento dell’asticella.
Babicz, nato in Polonia e cresciuto tra i Monti Tatra, ha sempre considerato la montagna come una dimensione da esplorare più con l’anima che con l’ambizione. La sua è una visione estetica dell’alpinismo: a guidarlo non è la ricerca della difficoltà estrema ma la naturale bellezza delle linee imposte dalla geografia. Percorsi storici, cime leggendarie, vie tracciate decenni fa. È lì che insegue la perfezione, anche se questo significa scegliere itinerari meno tecnici ma più armonici. Dopo un infortunio nel 2015 che ne ha compromesso la stagione nell’arrampicata sportiva, Babicz è tornato alla montagna “pura” riscoprendo la sua vocazione originaria. È ripartito proprio dal Cervino, vetta che avrebbe segnato una nuova fase della sua carriera. E da allora ha messo in fila imprese eccezionali, dal Monte Bianco all’“Appointment with Death”, fino al Pizzo Badile. Sempre in velocità, sempre in solitaria, sempre con uno sguardo rivolto al limite inteso come punto massimo raggiungibile da corpo e mente.
Il Cervino rappresenta in questo senso un manifesto della sua filosofia. Una montagna simbolica con una geometria naturale che la rende un obiettivo evidente per ogni esteta dell’alpinismo. Il concatenamento delle quattro creste, percorso in “free solo” e senza corda, non è stato solo un gesto tecnico, ma una scelta dettata da coerenza e strategia. L’attrezzatura avrebbe potuto rallentarlo, compromettere il tempo finale. E in quel contesto, ogni secondo era importante. L’assenza della cordaè stata una dichiarazione di fiducia nelle proprie capacità e nella propria preparazione. Per Babicz la sicurezza non risiede in strumenti esterni ma nella consapevolezza di sé. Essere pronto, calcolare ogni possibile variabile, prevedere ogni passaggio: è questo il suo modo di affrontare l’incertezza della montagna. In quei momenti estremi, ciò che prova è una leggerezza totale, una libertà che paragona a quella di un animale selvatico in perfetto equilibrio con l’ambiente. La velocità diventa uno stato mentale, la verticalità si trasforma in una danza.
Nel suo percorso il rapporto con il rischio è inevitabile. L’errore può costare la vita. Ma è proprio per questo che ogni impresa è preceduta da una preparazione minuziosa. Non si tratta di sfidare la morte ma di cercare i limiti più alti dell’essere umano, fisicamente e psicologicamente. Nella sua scalata del Traverso Integrale a Capo Noli un itinerario di mille metri orizzontali che normalmente richiede ore di progressione, Babicz ha impiegato meno di 23 minuti. Non per dimostrare qualcosa agli altri ma per verificare quanto fosse possibile spingersi oltre.
Il titolo del suo libro Oltre l’immaginabile racchiude il senso del suo cammino. Ogni scalata è una forma di esplorazione interiore. E anche se il Cervino rappresenta una delle sue imprese più simboliche per Babicz non c’è mai un punto d’arrivo. Ogni vetta è solo un punto di partenza per la prossima.
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