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"Da Vialli a Platini, da Vlahovic a Tudor fino ai soldi per lo sport nelle periferie": Massimo Mauro si confessa a tutto campo

L'ex calciatore della Juve presenta il progetto della Fondazione Vialli e Mauro insieme alla Fondazione Compagnia di San Paolo

"Da Vialli a Platini, da Vlahovic a Tudor fino ai soldi per lo sport nelle periferie": Massimo Mauro si confessa a tutto campo

Da sinistra: Michel Platini, Massimo Mauro e Gianluca Vialli

Massimo Mauro, lei ha giocato con grandi campioni, Platini, Maradona, Zico: ma come è nata l’amicizia con Gianluca Vialli, campione fuori e dentro al campo?
«Eravamo insieme in Nazionale Militare. Avevo rinviato la leva perché mi ero iscritto all’università. E quindi, siccome Luca è due anni più piccolo di me, siamo capitati insieme in nazionale. Io, però, ho fatto il lavativo quell’anno perché ero alle prese con la pubalgia: ho giocato solo due partite e non ci sono più andato. Loro hanno vinto i mondiali militari quell’anno, c’era una bella squadra. In quella nazionale ci giocavano Ciro Ferrara, c’era Luca (Vialli, ndr), c’era Roberto Baggio. Insomma, era veramente una bella squadra. E mi ricordo, che quando ci incontravamo, mi prendevano sempre in giro, perché non mi presentavo mai. Poi con Luca ci siamo rivisti nell’Under 21. Lì era già incominciata un po’ la nostra amicizia. Ma il momento cruciale è stato quando io ho smesso di giocare e sono tornato a vivere a Torino. Ho deciso di vivere sotto la Mole e Luca era stato l’acquisto più importante della Juve di quegli anni. Era l’anno in cui lui aveva incominciato ad avere qualche problema. Non giocava bene, Boniperti lo voleva spostare e fargli fare il centrocampista. E lì ci siamo ritrovati. Abbiamo cominciato a chiacchierare un po’, abbiamo trovato molte affinità e da lì è incominciata la nostra amicizia».
Anche dopo la sua morte, la Fondazione Vialli e Mauro continua a vivere. Non solo fondi per la ricerca. Quattrocentocinquantamila a fondo perduto sono destinati per lo sport, non solo il calcio. Stiamo parlando del bando lanciato insieme a Fondazione Compagnia di San Paolo, “Sport Senza Frontiere”. Lei hai detto di voler realizzare il sogno di Vialli. Quale era questo sogno?
«Era la promozione dello sport perché siamo stati sempre convinti che con la Fondazione, oltre a finanziare la ricerca, avremmo dovuto convincere tutte le persone che riuscivamo a capire a fondo che lo sport può aiutare ad essere dei buoni cittadini, oltre che far fare pratica sportiva. Questa era una cosa a cui tenevamo tantissimo: non sopportavamo gli episodi di violenza, gli episodi di intolleranza legati a una partita di calcio o allo sport in generale. Non ci rendevamo conto com’era possibile che un genitore o un ragazzino di 16 anni potessero reagire in maniera violenta, in maniera sconsiderata alle cose che capitano dentro a un campo di calcio o dentro a uno stadio. Allora ci eravamo ripromessi, visto che sia io sia lui abbiamo calcato campi di periferia da ragazzi, di pensare anche a questo. Fondazione Compagnia di San Paolo ci dà un’opportunità straordinaria: ne ho parlato direttamente a loro, che hanno deciso di sposare appieno il nostro progetto, per aiutare le persone a praticare sport. Per noi è un’occasione unica. Speriamo di riuscire a spendere tutti i soldi che ci hanno concesso, perché vorrà dire che abbiamo valutato dei progetti validi. Sarà una prova importantissima per noi. Ma soprattutto è una prova per tutti gli operatori delle periferie, dei posti meno fortunati, che avranno l’occasione di sfruttare una possibilità unica, quella di veicolare attraverso lo sport, generosità, solidarietà e fratellanza. In pratica, tutto quello che serve per essere buoni cittadini».
La politica non fa abbastanza per le periferie?
«La politica di destra, di sinistra, di centro non fa mai abbastanza, perché i bisogni sono enormi. Quindi bisogna rimboccarsi le maniche e fare cose concrete; impegnarsi a qualsiasi livello. Non me la prenderò mai con un politico, perché i politici sono quelli che noi votiamo e che vanno a rappresentarci. Se c’è la colpa di qualcuno è di chi li manda a governare le città, le regioni, le province. Quindi è davvero importante per la nostra Fondazione avere un’opportunità, come questa, per poter fare delle cose concrete».
Non è che sta pensando di ricandidarsi? Nel 2026 a Torino ci sono le elezioni comunali…
«Ma per l’amor del cielo! Io adesso ho una grande opportunità, quella di continuare con la Fondazione ad essere concreto, senza dover aspettare, senza avere tempi biblici. Che è un po’ la differenza che intercorre con le azioni politiche, perché dietro alle azioni politiche c’è una burocrazia immensa. In politica i tempi di realizzazione sono eterni. Però è giusto che sia così: anche perché bisogna controllare, e i controlli hanno bisogno di tempo. Io capisco anche le difficoltà dei politici ad essere tempestivi, ad affrontare i bisogni delle persone. Tornando a noi e al nostro progetto, è una cosa meravigliosa poter avere a disposizione dei fondi. Adesso vogliamo vedere se siamo capaci a spenderli bene».

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Concretamente Massimo, quali sono i requisiti per accedere a “Sport Senza Frontiere”?
«Il bando è aperto agli enti sportivi, religiosi e alle parrocchie che già operano nelle aree interessate al Progetto, con particolare riferimento ai quartieri torinesi dove lo sport può fare la differenza, come Barriera di Milano, Aurora, Mirafiori Sud, Falchera, Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Lucento e Vallette. La domanda va consegnata entro venerdì 31 ottobre 2025. Il bando è di facile compilazione, abbiamo cercato di snellire la burocrazia. Non verranno erogate cifre enormi (un minimo 2mila euro, un massimo 8mila, ndr), sono cifre che potranno però essere controllate benissimo soprattutto da chi li spenderà. Noi dovremmo essere bravi a valutare i progetti. Non sono cose da un milione di euro, sono cose verificabili, toccabili con mano, semplici da verificare, che sono le cose migliori per aggregare, per far praticare sport, per avere attrezzature nuove, per esempio. Tutte quelle cose che servono realmente a praticare sport. E soprattutto a far stare insieme le persone, i ragazzi, le ragazze che hanno più difficoltà ad avvicinarsi allo sport. Sarà veramente interessante capire se riusciremo a fare cose buone con questo progetto. Inoltre, ci sarà la possibilità, se non abbiamo raggiunto tutti i 450mila euro, di continuare. Fondazione Compagnia di San Paolo ci ha già detto, inoltre, che se ci dovessero essere progetti validi - non finanziabili perché sono finiti i soldi - verranno valutati lo stesso la al fine di stabilirne la finanziabilità».
Passando invece all’amata Juve, il suo amico Platini per i 70 anni si è tolto un grosso peso di dosso, quello della giustizia, dell’affaire “Fifa gate”. Di recente vi siete visti alla Fondazione Vialli e Mauro Golf Cup, come lo ha trovato?
«Tranquillo ma lo era anche tre anni fa: sarebbe stato veramente non “da Platini” fare qualcosa che potesse metterlo in situazioni così complicate e difficili. Era sicuro. E anche io ero sicuro che non sarebbe capitato niente, che non aveva fatto niente. Certo qualcuno l’ha messo in mezzo, qualcuno gli ha servito una polpetta avvelenata e forse lui ci è cascato. Mi dispiace perché il mondo del calcio ha perso un favoloso dirigente. Dopo essere stato uno dei migliori calciatori al mondo, secondo me è stato un grandissimo presidente Uefa. Lo dico perché è come per la sanità, le decisioni che si prendono non trovano mai al centro l’ammalato. E siccome il calcio è ammalato, le decisioni che si prendono non vedono mai al centro i calciatori o gli interessi del gioco. Sono sempre altre cose che fanno prendere decisioni a chi comanda».


Come siete diventati amici ai tempi della Juve?
«Quelli con i piedi buoni si capiscono al volo (ride, ndr). A centrocampo c’erano Bonini e Manfredonia che avevano piedi di gesso, quindi l’unico ero io che poteva dargli un bel passaggio. Perciò lui mi diceva: “non giocare largo, gioca vicino a me”. Loro due invece erano i polmoni di Platini, come dicevano, specie Bonini. Michel, invece, mi prendeva in giro e mi diceva sempre: “Mi tocca correre anche per te”».
Passiamo alla Juve di oggi: da Giuntoli a Comolli, sarà la volta buona?
«Tutti sanno che alla Juventus bisogna vincere. Le difficoltà di Comolli le comprendo, perché non è facile costruire una squadra che torni a vincere subito. Ogni ricostruzione, e penso ad Inter, Milan e la stessa Juventus, ha bisogno di tempo: in passato ci hanno messo un bel po’ a ricostruire. Lo scorso anno la Juve è stata veramente sfortunata con gli infortuni. Ha perso i suoi uomini migliori e questo è stato condizionante. Adesso vediamo: Comolli ha un ottimo curriculum, vediamo che succede».
A proposito di Comolli-Chiellini, quest’ultimo può finalmente garantire la juventinità, che è un po’ mancata nell’ultimo periodo. Secondo lei è il profilo giusto? Le sembra un ragazzo preparato?
«Giorgio è un ragazzo meraviglioso, intelligente, preparato, ma non gioca. Purtroppo. Lo preferirei in campo».
La proprietà, in particolare John Elkann, sembra essere più vicino e più presente alle questioni bianconere. Cosa c’è dietro questo cambio?
«La proprietà è sempre stata questa ed è proprio la bellezza di una società come la Juve, un caso unico a livello mondiale quello di avere a capo la stessa famiglia da oltre cento anni. Quindi non mi meraviglia che John Elkann sia vicino alle cose della società e della squadra. E poi adesso c’è Giorgio (Chiellini, ndr) che può essere un riferimento, come lo è stato Boniperti per l’Avvocato, come era Giraudo per il dottor Umberto Agnelli».
Cosa ne pensa invece della riconferma di Tudor?
«Hanno fatto benissimo a riconfermarlo. Tudor è stato un giocatore fantastico. Uno che non ha mai detto parole di troppo ed è stato sempre riconoscente alla Juventus. E poi è un ottimo allenatore, soprattutto. Perché non è che si vince con la juventinità. Si vince poi anche con la juventinità, ma si vince poi essendo bravi tecnicamente, tatticamente, bravo a gestire i giocatori, a gestire le difficoltà. E Tudor è bravo, non c’è dubbio che è bravo».
Un’ultima domanda sul caso del momento: cosa ne pensa della situazione che sta coinvolgendo Vlahovic?
«Secondo me Thiago Motta lo ha trattato malissimo, ma questo è successo perché la società non lo ha difeso come suo patrimonio. Poi poteva anche finire in panchina Vlahovic, ma è stato umiliato in alcune partite. E quindi lì la società avrebbe dovuto impedire all’allenatore di fare quelle scelte. Perché è compito della società difendere il patrimonio che ha. Adesso Vlahovic gestisce la sua posizione nella maniera più vantaggiosa per lui. Mi sembra che stia mettendo da parte l’aspetto calcistico, però questo fa parte del gioco. Se non risolvi prima i problemi di natura contrattuale, poi è un casino. Perché se ha delle proposte, il prossimo anno va via a parametro zero. C’era da aspettarselo».

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