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Giochi da Tavolo
06 Febbraio 2025 - 12:10
Cosa significa davvero cambiare il termine "razza" in un gioco come Dungeons & Dragons? Questa domanda non è solo un interrogativo per gli appassionati del celebre gioco di ruolo, ma un tema che tocca corde più profonde della nostra società contemporanea. La recente decisione di modificare la terminologia relativa al concetto di "razza" in Dungeons & Dragons (D&D) ha sollevato un dibattito che va oltre il semplice gioco, toccando questioni di diversità, inclusività e conflitto.
Dungeons & Dragons, creato da Gary Gygax e Dave Arneson nel 1974, è un universo in cui la diversità è il fulcro stesso del gioco. Creature immaginarie come elfi, nani e orchi sono caratterizzate da aspetti fisici, peculiarità intellettuali e caratteristiche culturali che le differenziano. Queste differenze, tuttavia, non sono solo estetiche o funzionali; sono alla base della conflittualità che caratterizza l'intero genere fantasy. In un mondo dove guerrieri senza scrupoli decapitano serpenti ancestrali e seducenti elfi oscuri avvelenano gli amanti, la diversità non è solo un elemento decorativo, ma una componente essenziale del dramma e dell'immersione.
La decisione di eliminare il termine "razza" nasce dall'intento di promuovere diversità e inclusività. Tuttavia, sorge spontanea una domanda: come si può promuovere la diversità eliminando proprio ciò che rende le cose diverse? L'antropologo Claude Lévi-Strauss osservava che "l'umanità si trova divisa in segmenti che tendono a distinguersi gli uni dagli altri non per isolarsi, ma per affermare la loro esistenza". Le differenze, dunque, non sono barriere da abbattere, ma elementi costitutivi dell'identità.
La tendenza a revisionare prodotti culturali del passato per allinearli alle sensibilità del presente è un fenomeno che va oltre D&D. Piuttosto che alterare arbitrariamente film, libri, giochi e opere d'arte esistenti, non sarebbe più sensato creare nuovi contenuti che riflettano i valori attuali? Questa pratica, che in alcuni casi può apparire come una mera operazione di marketing, in altri assume i contorni di una vera e propria riscrittura culturale.
Emerge infine una contraddizione di fondo: si afferma di voler promuovere la diversità come valore, eppure si cerca di farlo eliminando o attenuando proprio ciò che rende le cose diverse. Il sociologo Zygmunt Bauman evidenziava come "l'inclusione autentica non si realizza con l'assimilazione forzata, ma con la capacità di accogliere l'altro nella sua irriducibile alterità". Realizzare un paradigma di inclusione attraverso l'erezione di nuove barriere o la tracciatura di nuovi confini è un'operazione che può avere solo due matrici: l'ignoranza o la malafede.
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