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Casa Teatro Ragazzi
27 Settembre 2025 - 06:00
Vito (Stefano Bicocchi)
Papà cuoco di professione così come i suoi nipoti e quasi tutta la sua famiglia. Stefano Bicocchi non poteva che diventare... un attore. Esatto, ma con nel sangue cibo a volontà e una passione che alla fine si è trascinato sul palcoscenico diventando per tutti «Vito» lo chef.
Sarà proprio lui a inaugurare questa sera al Teatro Ragazzi la rassegna Play With Food con un monologo, che è tutto un dire, dal titolo «L’altezza delle lasagne» (19,45, lo spettacolo sarà preceduto da un aperitivo alle 19) scritto da Francesco Freyrie e dal torinese Andrea Zalone, autore e spalla di Maurizio Crozza.
Quindi c’è da immaginare che si riderà e non poco...
«Certo, si riderà tantissimo - racconta Bicocchi - dall’inizio alla fine. Perché è scomparsa la rucola e siamo invasi dall’avocado? Chi ha deciso che non serve più la mezzaluna? Cosa ha trasformato il semplice gesto di nutrirsi in una nuova religione? Questi i temi che tratterò portando in scena le manie legate al cibo. Troppe. Personalmente, se un piatto ha più di cinque ingredienti lo rifiuto».
Cos’è l’«altezza delle lasagne»?
«La risposta che diede mio padre a un convegno quando gli chiesero di quanti piani dovessero essere».
Quindi?
«Sette».
Perché?
«Perché così stavano nella sua teglia. Rimasero tutti sgomenti e il convegno andò a rotoli...».
Lei ha lavorato a Torino in «Fuoriclasse» con Luciana Littizzetto, cosa le piace della nostra città?
«Tutto, si mangia ovunque. Noi non avevamo molto tempo, ricordo però che ogni domenica andavamo a mangiare i tramezzini di Mulassano, che bontà».
Non ha mai pensato di diventare un cuoco?
«No, la recitazione è il mio primo amore, ma cucino benissimo e come vede ho trovato il modo di unire il cibo al mio lavoro. Nel mio primo spettacolo teatrale c’era una pentola in cui cuoceva il ragù, vede? Era destino».
Ci parli dei suoi inizi con Fellini..
«Sì, iniziai a 22 anni partecipando al suo ultimo film, «La voce della luna», da lì non mi fermai più. Fu un ottimo lasciapassare. Di lui ricordo la rigidità sul set, vietato improvvisare, e i giornalisti che lo circondavano. Era un set molto difficile».
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