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Il giorno in cui Dylan Dog morì (in edicola)

La creatura di Sclavi va verso il quarantennale. Perché quel giorno cambiò tutto

Il giorno in cui Dylan Dog morì (in edicola)

Sono passati quasi quarant’anni dal giorno che cambiò la storia del fumetto popolare in Italia. Il 26 settembre 1986, infatti, usciva il primo numero di Dylan Dog. E pochi giorni dopo moriva.

Sì, la definizione era questa: morire in edicola. Significa che le copie degli albi restavano lì invendute e in casa editrice, la Daim Press, denominazione dell’epoca della Bonelli, si pensava già al fallimento. Invece, nel giro di poche settimane, ecco il boom che avrebbe trasformato quel fumetto in un cult.

“L’alba dei morti viventi”, testi di Tiziano Sclavi e disegni di Angelo Stano, con la copertina di Claudio Villa, fu l’inizio di un fenomeno di costume: Dylan Dog cominciò a diffondersi nei ginnasi, nei licei artistici, forte di una formula mai osata prima: il protagonista non è un eroe granitico alla Tex Willer, ma neppure un antieroe scanzonato e un po’ bullo alla Mister No. Con le fattezze di Rupert Everett e la spalla comica sosia di Gourcho Marx, Dylan Dog si propone come una icona del tutto nuova.

C’era, poi, in questo che era fumetto popolare, l’elemento “colto”, introducendo il concetto di “libro”. Cosa vuol dire? Vuol dire che le letture del protagonista, la musica (per esempio nella prima avventura c’è la colonna sonora di Ghostbuster) ascoltata - anche quella malamente suonata al clarinetto -, i film visti sono elementi decisivi della storia: citazioni, rimandi, riscritture. Il fumetto popolare attinge dalla letteratura e la creatura di Sclavi inizia a interessare gli ambienti accademici. Scomodiamo, senza sbagliare, Umberto Eco, che i fumetti li amava.

Certo, l’adolescente che ero amava quelle storie dove la narrativa gotica e l’horror assumevano una dignità letteraria - pochi anni dopo avremmo avuto il Dracula di Coppola -, mentre forse oggi mi è difficile ritrovarmi nel Dylan Dog della svolta millennial. Forse più evocative alcune storie del ciclo parallelo del Pianeta dei morti.

Dylan Dog ha come cambiato pubblico, rinnovandosi, adeguandosi ai tempi. E mi pare strano parlarne ora che magari resto attaccato a Tex Willer, che avevo iniziato a leggere quando avevo l’età di Kit Willer e ora mi ritrovo con quella di Kit Carson (e nel frattempo apprezzo di più la svolta che li ha resi entrambi meno “spalle” del protagonista, anche se ora l’idolo è il navajo Tiger Jack).

Nell’evoluzione dei fumetti, con Nathan Never, Dampyr, Magico Vento, Julia e altri che hanno fatto seguito, resta poi la nota malinconica per il Ken Parker di Berardi e Milazzo, che Bonelli aveva “portato a casa” e poco tempo ha ripresentato solo per farlo morire e chiudere la saga.

Dylan Dog, che morì in edicola, resta vivo oggi ed entra nell’annata del quarantennale. Con i millennials e i Gen Z forse al posto di noi Generazione X. Ma anche questo è crescere. Magari, per celebrare, amici di Bonelli, ridateci un Xabaras d’antan. Grazie.

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