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IL COLLEZIONISTA FOLLE
05 Ottobre 2025 - 09:09
I cerchi di Pablo Picasso
PROLOGO
Avvertenza: ciò che state per leggere non è un articolo, ma un varco quantico. Un’apertura nel tessuto dello spaziotempo attraverso cui il Collezionista Folle ci trascina senza preavviso, brandendo una lente d’ingrandimento rotta e una mappa disegnata su una tovaglia di trattoria. Dentro troverete tre cerchi che potrebbero essere ruote, pizze, lune perdute o le pupille del Destino. Viaggerete da Giotto a Goering senza scalo, su un triciclo immaginario costruito da Leonardo da Vinci in collaborazione con un panettiere genovese e Max Jacob in ciabatte. Ci saranno brodi misteriosi, Madonne triplicate, carte francesi, sinonimi da bordello e gite in barca alla ricerca di tesori dimenticati da imperi, nazisti e poetesse ubriache. Siete pronti? Non cercate la logica: cercate il cucchiaio. E ricordate: il terzo occhio non vede, inventa.
IL TERZO OCCHIO
Il disegno dei tre cerchi avrebbe ispirato un produttore di biscotti così come il progettista del triciclo, bicicletta con due ruote posteriori, ma non avrebbero avuto la fortuna di Picasso il fornaio genovese che ebbe l’idea di cuocere tre pizze alla volta. Ci si chiede se i tre cerchi abbiano una esegesi perduta nella notte dei tempi quando la terra aveva tre lune? Oppure si cerca la risposta nelle cavità circolari delle pietre sacre agli antenati celtici? Nessuna di queste ipotesi, per avere una risposta dovremmo studiare i grandi pensatori ed artisti del nostro Rinascimento: da Giotto che non si fermò al primo cerchio, a Leonardo da Vinci che avrebbe triplicato l’uomo vitruviano? Macché, dovremmo aspettare un altro Picasso emigrato dalla Spagna a Parigi dove, non avendo un mestiere, trovò la sua fortuna applicandosi nel disegno creativo dove occorre avere l’abilità di rappresentare la realtà in modo deformato per nascondervi i suoi pensieri che via via emergevano nella sua mente in un gioco a volte perverso. Chiediamo aiuto al suo amico Max Jacob, col quale Picasso divideva il letto, l’uno dormiva la notte, l’altro alla mattina, a turno. Max aveva il dono del terzo occhio col quale vedeva meglio e leggeva le carte alle signore, estasiandole con le sue bizzarre poesie: “Les jeux des mots sont l’esprit qui vole”, i giochi di parole sono lo spirito che vola”, soleva dire a chi non decifrava neppure i suoi disegni nei quali nascondeva veri e propri segreti. Era un gioco a scoprirli quando non erano troppo difficili. Per farlo bisognerebbe leggerli a bassa voce in francese e cercare suoni affini che ne cambino il senso ed il valore come quando Picasso succhiava dal piatto il brodo bollente con la pastina a rondelle. Oppure aiutarsi con un dizionario dei sinonimi o delle frasi fatte del gergo popolare parlato nei bordelli. Ad esempio i tre cerchi potrebbero rappresentare le tre palle da tennis di cui il campione Sinner una la scarta e l’altra la mette in tasca raccomandandosi alle tre Madonne, la massima formula di invocazione alla protezione celeste.
Chi non lo sapesse si limiterebbe ad invocarne solo una, con il medesimo effetto poiché non è la quantità ma è la qualità che conta contro il malocchio. Prendiamo a caso uno o due disegni di Picasso nei quali siano rappresentati tre cerchi, disposti a piacere ma adiacenti l’un con l’altro, come una catena o come una formula chimica. Le tre belle Madonne palestinesi (vanno di moda) vengono chiamate “les troi soeurs” (le tre sorelle) che, sempre a causa del brodo in cui è bollita la testa di agnello, si trasforma in “trèsor” (tesoro) da scoprire dove il vento porta la barca gonfiando la vela. La silente translitterazione viene “ça vas sans dire”, pronunciando il nome “barca” in francese “bateau” che ci porta a vedere “à voir” la soluzione dell’indovinello al “bateau Lavoir”, il nome della casa dei pittori di Parigi dove Picasso e Max Jacob giocavano alla morra per spartirsi le ore di riposo.
Questo esempio prova il metodo ma nel caso del disegno di Picasso non la dice tutta. La prima cosa che non dice è il tempo a cui si riferisce il ricordo postumo, di certo una gita in barca alla scoperta di un tesoro cui fece riferimento una leggenda post bellica 1945, che riguarda il tesoro che il FeldMarchall nazista, eroe della aviazione e secondo solo a Hitler, aveva accumulato in parte a suo favore, anch’egli folle collezionista di opere d’arte. In breve, poiché la storia meriterebbe una serie a puntate, una squadra speciale di archeologi nazisti scoprì il favoloso tesoro romano che i visigoti avevano razziato a Castel Sant’Angelo a Roma nel 410 dC e trasferito nella miniera tra Arques e Rennes le Chateau dove nel 60 a.C. Giulio Cesare aveva estratto l’oro per finanziare la guerra civile a Roma, sedata la quale concquistò il potere.
Nel fine ‘800 l’Abate François Bérenger Saunière (Montazels, 11 aprile 1852 – Rennes-le-Château, 22 gennaio 1917), scoprì una vecchia pergamena che indicava il sito della miniera e la portò ai gesuiti di Saint Sulpice a Parigi i quali avrebbero voluto finanziare la rinascita del Sacro Romano Impero nelle mani dell’imperatore Otto d’Asburgo, ma qualcosa andò storto. La prima guerra mondiale (1914–18). Il tesoro rimase nella miniera fino alla fine della seconda guerra mondiale (1945), scoperto troppo tardi quando i Russi, sacrificando due milioni di morti (compresi i bambini tedeschi) erano alle porte di Berlino, senza le proteste dei pro-Palestina. Gõering riuscì a prendere tre tonnellate d’oro che avrebbe sotterrato in tre punti della riviera non distanti dalla sua villa a Capo Migliarese a Bordighera e per avere salva la vita a Norimberga sarebbe stato disposto a cedere l’oro a Russi, Europei e americani i quali evidentemente non si sarebbero messi d’accordo sulla spartizione del tesoro. Ma questa é un’altra storia segreta nota alle tre Madonne.
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