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Il ritorno di Claire Keegan: ecco perché per alcuni c'è solo una "morte lenta e dolorosa"

Dopo uomini esemplari, anche contro il "sistema", la scrittrice irlandese si scaglia contro violenti e meschini

Il ritorno di Claire Keegan: ecco perché per alcuni c'è solo una "morte lenta e dolorosa"

Possiamo dire che Claire Keegan ha abbandonato il genere fantascientifico? Sì perché dopo il Bill Furlong di “Piccole cose da nulla” e il Kinsella di “Un’estate”, la scrittrice irlandese ha deciso di puntare quella sua penna acuminata contro i peggiori esemplari di maschi. Se i protagonisti dei suoi primi libri erano uomini - con una concessione al patriarcato potremmo dire «dalle spalle larghe» - che emergevano nel loro spessore, che facevano la scelta giusta anche quando significava infrangere una sorta di omertoso tabù, quelli del nuovo libro “Quando ormai era tardi” (Einaudi, 13 euro, traduzione di Monica Pareschi) sono meschini, arrabbiati, invidiosi, avari, violenti (e non solo fisicamente).

C’è un passo, nel primo dei tre racconti lunghi di questo volume, dedicato a un uomo che torna a casa dal lavoro, nella casa vuota dopo che la fidanzata ha rinunciato alle nozze, dove una sua collega parla diffusamente di quello che sono per lei gli uomini irlandesi. E il ritratto non è lusinghiero, a usare un eufemismo.

Nel secondo racconto, invece, c’è una scrittrice che arriva in una residenza per scrittori, dove Heinrich Boll ha scritto i suoi “diari”, e l’ombra funesta di un sedicente accademico si allunga su di lei, sulla sua esistenza, sulla dimensione che contava di ritrovare lì, anche nel riposare nuda sui sassi caldi dopo una lunga nuotata. Un’ombra prepotente, violenta di quella violenza che resta forse fuori campo, pronta a detonare ma frenata da quella che, anche nel male, è la vigliaccheria del prevaricatore.

Mentre nel terzo, infine, una donna sposata, in città per i regali di Natale, si lancia in una avventura passionale con un misterioso e affascinante sconosciuto. Non finisce bene.

Luoghi diversi, situazioni diverse, dove non esiste un castigo se non quello di «una morte lunga e dolorosa» - vedrete a chi tocca - che è una sorta di castigo letterario sulla scorta dei grandi russi. E non per niente in tanti hanno messo il nome di Claire Keegan, ormai pluripremiata, accanto a quello di Checov o Alice Munro.

Una scrittura forte, ma pervasa di una rabbiosa delicatezza che pare assumere spesso il tono sicuro, a voce bassa, ma chiaramente di distanza dalle meschinità che bene è stato reso, nell’adattamento cinematografico, per Kinsella. Una storia, quella, dove la commozione ti aggrediva all’improvviso, mentre qui non vi è traccia, come se anche a Keegan fosse sceso dagli occhi «il velo del romanticismo» e avesse iniziato a guardare dentro certi interlocutori. Con l’abilità, che è di pochi, di sapere tracciare una storia, un quadro con poche linee.

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