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Economia & Finanza
28 Dicembre 2024 - 08:20
Esiste un club esclusivo di ricchi, nel mondo della finanza: se hai (almeno) 20 milioni di dollari, e sei disposto a spenderne 20mila l'anno di "tessera", puoi farne parte. Ma essere ricchi, star bene come eufemisticamente potremmo dire in Italia, non è sufficiente: bisogna dimostrare di saperla conservare, questa ricchezza. Perché, recita il motto, non bisogna confondere lo star bene con il successo: "Una fortuna ereditata è una cosa, Elon Musk l'altra". Scopriamo qualcosa di più su questo club esclusivo, una "tana delle tigri".
Tiger 21 è infatti il nome di questo club: l'acronimo sta per The investment group for exceptional returns in the 21st century, ossia il gruppo per gli investimenti più redditizi del ventunesimo secolo. E ha una mission: far soldi e aiutare a mantenerli. Ma anche praticare la filantropia. Se agli inizi, a New York venticinque anni fa, erano appena in sei, per arrivare a sedici, tra cui una sola donna, nel 2003, oggi gli associati sono circa 1.500, in una cinquantina di città in 7 Paesi nel mondo. E i loro nomi sono "riservati", o quantomeno sconosciuti al grande pubblico, perché non sono una società che cerca affermazione sul mercato: a modo loro si può dire che si difendano e consiglino a vicenda contro le insidie dei mercati.
Il fondatore e presidente, è Michael W. Sonnenfeldt, 69 anni e una laurea al Mit di Boston, una carriera decollata in Goldman Sachs e poi in diverse società di investimento da lui fondate e poi cedute. È anche attivista politico e un filantropo: sovvenzionatore, con una ventina di milioni di dollari, della Ben Gourion University, è stato nel board di Earthjustice, uno studio legale con un centinaio di associati che si occupa della difesa dell'ambiente; fondatore dell'Israel Policy Forum per la promozione della pace in Medio Oriente. E, nel 1999, fondatore appunto del Club delle Tigri, il Tiger 21.
"Imparare gli uni dagli altri per affrontare i problemi e le opportunità che derivano dal successo" è uno degli insegnamenti del club che, non a caso, sulla sua pagina Linkedin inserisce il coaching fra le proprie attività. Come detto, è un club. Per entrarci bisogna avere un patrimonio che sia almeno di 20 milioni di dollari e, ogni anno, si spendono 20mila dollari almeno per l'affitto delle sale riunioni, delle sedi dei "convegni", per i relatori. È stato definito anche il "club degli ex ceo", perché ha riunito, nella fase iniziale, parecchi ex top manager che per ragioni varie e diverse avevano lasciato o ceduto l'azienda: uno di essi, per esempio, era stato messo alla porta dopo l'11 Settembre, a causa dello stress lasciato in lui dagli attentati alle Torri Gemelle, non lontane dalla sede della sua impresa. Naturalmente, con una più che generosa buonuscita.
E qui arriviamo al primo punto: molti degli associati - finanzieri puri, self made man, imprenditori, ereditieri, età media 57 anni - si sono ritrovati con una grande ricchezza, la cui esigenza era la conservazione, oltre che la resa. Prendiamo un manager di una impresa manifatturiera o automotive - o magari proprio Caterpillar, da dove viene uno dei 1.500 -: abilissimo nel suo settore, non necessariamente esperto di finanza pura nel momento in cui deve decidere come investire o con quali strumenti il suo patrimonio. Il club interviene proprio qui: la conoscenza dei singoli membri viene condivisa e anche contatti ed esperienze possono essere di aiuto agli altri.
Il socio, per accedere a questo coaching, oltre ai soldi deve però dimostrare di avere quelle qualità necessarie a superare la rigida selezione iniziale. Innanzi tutto deve essere disposto a mettere in piazza, di fronte agli altri che lo giudicheranno e consiglieranno (o stroncheranno: c'è chi ha rinunciato), tutti i suoi asset, ossia il patrimonio. Deve essere disposto ad attività filantropiche, senza diventare però "il welfare dei parenti". Viene vagliata anche la quantità di denaro elargita ai parenti (figli compresi, pare). La migliore attività filantropica, viene rivelato, è finanziare un imprenditore con una buona idea in mente. E costruirne il successo.
In cambio, come detto, si accede a questo patrimonio di competenze (e informazioni), nonché a un "social segreto", qualcosa a metà fra una chat e Linkedin, dove tutti i soci sono in contatto e analizzano rendimenti, variazioni, prospettive del mondo della finanza. Per questo, nel momento dell'economia, in molti guardano alle mosse del Tiger 21, non fosse altro perché gestisce qualcosa come 160 miliardi di dollari in asset e investimenti. Come una multinazionale, in pratica.
Osservando le loro attività, soprattutto in America, ci sono analisti che provano a interpretare i trend migliori. Come vent'anni fa, quando il colosso farmaceutico Roche acquisì la società di biotecnologie - depositaria di una tecnologia unica per i testi biomedici - Igen, per un valore di 1,4 miliardi di dollari. E altri "suggerimenti" di azioni sono passati nel social segreto, o nelle riunioni mensili in questi anni. Per questa ragione, oggi, la composizione del loro portafoglio assume parecchio interesse: gli investimenti immobiliari, annota "Patrimoni", rivestono il 27% del totale, mentre i private equity arrivano fino al 29%, mentre gli hedge fund - per molto tempo considerati un veicolo ottimale di investimento - "sono morti stecchiti", come detto da Sonnenfeldt a Cnbc, e sono a malapena il 2%. E il trend, dunque, qual è? Manco a dirlo, le criptovalute: non tanto in quantità, quanto per le eccezionali recenti performance.
Secondo Ena Hull, imprenditrice a soli 20 anni, investitrice di successo e oggi "coach" e membro del board del Tiger, il segreto del successo risiede "nel potere della reinvenzione, nella forza delle reti strategiche e nel coraggio di porre domande audaci". Saper anticipare i tempi, anche. Ma tra gli ospiti e i consiglieri del successo non ci sono solo personalità della finanza o dell'economia, docenti universitari e persino ex presidenti degli Stati Uniti: importanti relazioni, per esempio al Global Exchange di quest'anno, sono state tenute da Julia Olson, avvocato e specialista dei diritti civili, e persino dalla campionessa di sci Lindsey Vonn.
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