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LIBRI & INCONTRI
24 Marzo 2025 - 12:05
La copertina di "Passeggiata sull'Himalaya" di Jamaica Kincaid
C’è un filo che lega i giardini dell’Antigua ai pendii vertiginosi dell’Himalaya. Non è un filo botanico, ma narrativo, esistenziale. È il filo che Jamaica Kincaid tende con grazia e ostinazione in "Passeggiata sull’Himalaya", dove la scrittrice caraibica trapiantata nel Vermont intreccia memorie, piante e consapevolezze con una spontaneità che non rinuncia mai alla precisione.
Il libro nasce da una commissione ricevuta nel 2000: scrivere un reportage letterario da un luogo a scelta. Kincaid sceglie l’Himalaya e, più precisamente, i suoi semi. Non quelli metaforici del destino, ma semi veri, fisici, raccolti assieme a un gruppo di botanici nel sud-ovest della Cina, a caccia di piante da trapiantare nel suo giardino. Ma da subito appare evidente che la vera spedizione è altrove: dentro sé stessa, nei ricordi d’infanzia, nella rilettura di una storia personale filtrata attraverso la lente della botanica, della Bibbia di re Giacomo e delle contraddizioni del colonialismo.
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Nel racconto del viaggio tra le vette del Sichuan e dello Yunnan – tra guerriglieri maoisti, sanguisughe, altitudini impossibili e imprevisti che sanno di miraggio – si innesta la voce della bambina malaticcia che impara a leggere sulla biografia di Louis Pasteur, che non conosce l’alfabeto ma sa che il latte va bollito per non morire, che beve tisane preparate da una madre trasformata in incarnazione vivente di Pomona e Vertumno. Un’infanzia segnata da febbri, parassiti, cure amorevoli e un’educazione sentimentale radicata nella natura, nei gesti del raccogliere e del piantare.
Il giardino, per Kincaid, è molto più di uno spazio fisico: è un luogo di elaborazione affettiva e politica. È consolazione e trauma, è Eden e rimozione violenta. «Casa tua è sempre l’Eden… e ogni cosa venuta dopo ha messo fine al Paradiso,» scrive. Un pensiero che pesa come una pietra, soprattutto per chi, come lei, discende da un popolo strappato alla propria terra per essere gettato nel Nuovo Mondo.
È in queste pagine che la scrittrice mostra la sua capacità unica di sovrapporre registri: quello della memoria personale, dell’esplorazione naturalistica, della riflessione filosofica e politica. Nulla è mai neutro nei suoi scritti, nemmeno un fiore, nemmeno un seme. Ogni pianta ha una storia, e ogni storia un radicamento profondo in un passato di violenza e bellezza. Così, anche l’Himalaya, con i suoi spazi vertiginosi e i silenzi che annullano tempo e direzione, diventa il luogo dove interrogare l’esistenza stessa.
Chi legge "Passeggiata sull’Himalaya" non troverà solo il racconto di un viaggio esotico. Troverà un esercizio di sguardo, uno scavo nel senso più radicale del giardinaggio: non come hobby decorativo, ma come gesto simbolico, quasi religioso, di cura e ricostruzione. In fondo, Kincaid ci invita a camminare con lei non sulle alture dell’Asia, ma nei luoghi remoti della coscienza. Con passo lento e sguardo vigile, come chi sa che ogni seme porta con sé un mondo. E che ogni mondo, se ben coltivato, può ancora fiorire.
«Senza l’ostilità che la gente prova nei miei confronti sarei perduta. Io scrivo per sfida», afferma lei stessa. E quella sfida attraversa ogni pagina.
«Anche quando parla di piante e fiori, Jamaica Kincaid non sa darsi pace, e questo è il merito più grande di chiunque scriva», dice Marta Barone. Martino Gozzi scrive invece: «In "Passeggiata sull’Himalaya" Jamaica Kincaid trasforma il racconto di viaggio in una potente riflessione politica sul significato dell’esistenza, come solo i grandi scrittori sanno fare».
Jamaica Kincaid sarà al Circolo dei Lettori di Torino il 26 marzo alle ore 21, in dialogo con Marta Barone e Martino Gozzi. Un’occasione per ascoltare dalla sua voce questa geografia della consapevolezza, dove i fiori non crescono per bellezza, ma per resistenza.
Il libro "Passeggiata sull’Himalaya" è disponibile in libreria al prezzo di 14,00 euro.
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