Nel mondo del vino, i giovani non sono più gli assenti ingiustificati. Al contrario, Millennials e GenZ si rivelano protagonisti silenziosi ma determinanti, capaci di invertire la tendenza al ribasso nei consumi e di rilanciare il comparto premium. È quanto emerge dal nuovo report dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, presentato a Roma in vista della 57esima edizione del Salone internazionale del vino e dei distillati, in programma a Verona dal 6 al 9 aprile.
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L’indagine, basata su dati Iwsr, mette sotto la lente d’ingrandimento i mercati italiano e statunitense, che insieme rappresentano il 60% del fatturato del vino made in Italy, con un focus sui consumatori under 44. E ciò che viene fuori smentisce gran parte dei pregiudizi che dipingono le nuove generazioni come distanti o disinteressate al vino.
Altro che distacco: i giovani tra i 18 e i 44 anni stanno tenendo in piedi il segmento ultra premium. Negli Stati Uniti, ben il 60% degli acquisti di vini di alta gamma proviene da questa fascia d’età, che da sola genera il 24% dei volumi e addirittura il 35% del valore tra i consumatori abituali. In Italia la quota è più contenuta, 10% sul totale, ma anche qui la metà degli acquisti top di gamma è firmata da under 44.
A guidarli è un approccio eclettico: non cercano fedeltà a un’etichetta ma esperienze sempre nuove. Un under44 su due cambia volentieri marchio, mentre tra i più anziani solo un terzo mostra questa flessibilità. A fare da collante resta la dimensione sociale: il vino si beve in compagnia, si fotografa, si racconta. Per il 56% dei giovanissimi italiani è persino un "fashion statement", il doppio rispetto ai Boomer (28%).

Il mito del giovane che "non capisce il vino" cade sotto il peso dei numeri. Negli Stati Uniti, Millennials e GenZ – che rappresentano un terzo della popolazione – costituiscono quasi la metà dei consumatori di vino. E in Italia la proporzione è coerente con la distribuzione demografica: gli under44 sono il 35% dei bevitori, in linea con la loro presenza nella popolazione in età legale per il consumo di alcolici.
Anche l’idea che siano più morigerati vacilla. Se la frequenza media si attesta attorno alle 2-3 volte al mese per tutte le età, negli USA e, seppur meno marcatamente, in Italia, sono proprio i più giovani a bere due o più bicchieri per volta con maggiore regolarità.
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Inoltre, mentre Boomer e GenX frenano, i giovani accelerano. Negli Stati Uniti, tra gli under44 il 31% ha aumentato il consumo di vino, contro un modesto 9% tra gli over60. In Italia, dove il calo è più omogeneo, resta comunque significativa la spinta dei giovani: il 14% dichiara di bere di più, contro appena il 7% tra gli over.
Non si tratta solo di quantità, ma di un diverso modo di intendere il vino. Il connubio con il cibo resta importante, ma perde centralità: solo la metà degli under44 considera il vino un’esaltazione del pasto, contro la quasi totalità degli over. In compenso, il consumo si sposta su nuovi terreni: convivialità, occasioni sociali, abbinamenti con cocktail e sperimentazioni trasversali.
Interessante anche il fenomeno dei "dry period", i periodi di astinenza volontaria. Negli USA il 60% dei GenZ è disposto a mettere in pausa il vino per un mese, come nel celebre "Dry January". In Italia, la quota scende ma resta rilevante: 46%. Un trend che convive con un consumo consapevole, non certo con l’astinenza pura. Non a caso, i veri astemi si trovano soprattutto tra i Boomer, che rappresentano circa la metà di chi non beve né vino né altri alcolici.
In un mercato segnato da flessioni ormai strutturali – quarto anno di calo in Italia, terzo negli USA – i dati parlano chiaro: la linfa vitale arriva dagli under44. Che si tratti di Millennials o GenZ, questi nuovi consumatori non solo non hanno abbandonato il vino, ma lo stanno reinterpretando con codici diversi, più liberi, più esperienziali, meno ancorati alla tradizione.