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Dallo smartphone al laboratorio: il sensore che svela l’antimateria con precisione mai vista

La rivoluzione tecnologica e scientifica arriva dai laboratori del Cern

Dallo smartphone al laboratorio: il sensore che svela l’antimateria con precisione mai vista

Il sensore utilizzato (Fonte Istituto Nazionale di Fisica Nucleare)

Una rivoluzione tecnologica e scientifica arriva dai laboratori del Cern, dove l’esperimento Aegis – in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) – ha centrato un risultato straordinario che oggi conquista le pagine della rivista Science Advances. I ricercatori hanno trasformato un semplice sensore fotografico, lo stesso usato negli smartphone, in un rivelatore di antimateria ad altissima precisione. Un’idea audace, un vero “hack” scientifico che ha già riscritto i limiti della strumentazione nel campo della fisica delle particelle.

Modificando i sensori Cmos (Complementary Metal-Oxide-Semiconductor), dotati di pixel di silicio più piccoli di un micrometro, il team di Aegis è riuscito a rivelare le antiparticelle con una risoluzione mai raggiunta prima: 600 nanometri nella localizzazione degli impatti degli antiprotoni. È il nuovo record mondiale nella rivelazione delle annichilazioni di antimateria.

Aegis (Antimatter Experiment: Gravity Interferometry and Spectroscopy) è uno degli esperimenti di punta della cosiddetta Antimatter Factory del Cern. Finanziato in larga parte dall’Infn, ha un obiettivo ambizioso: misurare l’accelerazione gravitazionale dell’antidrogeno e verificare così la validità del principio di equivalenza debole di Einstein anche per l’antimateria. Un test che mette alla prova i fondamenti della relatività generale in un territorio ancora inesplorato.

“Questo sensore rappresenta un vero e proprio punto di svolta per l'osservazione della piccola deviazione causata dalla gravità in un fascio di antidrogeno che si muove orizzontalmente, e potrebbe avere un impatto significativo anche più in generale per la fisica delle particelle, specialmente in esperimenti dove l'alta risoluzione di posizione è cruciale”, spiega Ruggero Caravita, ricercatore dell’Infn presso il Tifpa di Trento e responsabile della collaborazione Aegis.

Ma non è tutto. Il nuovo dispositivo, chiamato Ophanim (Optical Photon and Antimatter Imager), integra ben 60 sensori in un’unica architettura, totalizzando la cifra record di 3840 Megapixel: è il rivelatore fotografico con il maggior numero di pixel attualmente esistente. A illustrarne le potenzialità è Francesco Guatieri della Technical University of Munich: “Il dispositivo consente sia un’altissima risoluzione, sia una buona superficie di raccolta delle particelle”.

Ophanim è l’equivalente elettronico di una lastra fotografica, ma con un vantaggio decisivo: i dati non devono più essere sviluppati come in una pellicola, ma sono immediatamente leggibili. Un confronto col passato è inevitabile: nel 2008, l’esperimento Opera ai Laboratori del Gran Sasso aveva stabilito un record di tracciamento a emulsione di 300 nanometri. Ora Aegis raggiunge prestazioni simili, ma con un sistema completamente digitale.

È l’inizio di una nuova era nella fisica dell’infinitamente piccolo. Una dimostrazione che, a volte, la chiave per risolvere i grandi misteri dell’universo può nascondersi… nel sensore di una fotocamera.

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