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Crisi del riso in Giappone: aumentano i prezzi e scattano le aste dalle riserve

Un evento mai successo prima nel paese del Sol Levante

Crisi del riso in Giappone: aumentano i prezzi e scattano le aste dalle riserve

In Giappone, il riso è molto più di un alimento: è un simbolo culturale, presente in quasi ogni piatto, dal sushi ai dolci. In un paese che vanta la quarta economia mondiale e una popolazione di 124 milioni di persone, esistono ben sei varianti di riso, ognuna con una sua specificità, dalla versione decorticata a quella pronta per essere consumata. Le prefetture si sfidano a chi produce il miglior riso, e mai si sarebbe immaginato di vedere un Paese così attento al suo cereale nazionale fare i conti con una vera e propria "crisi del riso", simile a quella delle uova negli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump.

Per la prima volta nella sua storia, il Giappone ha dovuto mettere all'asta sacchi di riso provenienti dalle riserve di emergenza, destinate a fronteggiare carestie o disastri naturali. Un segno tangibile della gravità della situazione, che riporta alla mente le emergenze alimentari dopo il devastante terremoto e tsunami del 2011 e il sisma del 2018. Lo scorso febbraio, il governo ha annunciato l’utilizzo di 210.000 tonnellate di riso dalle riserve, e a fine marzo il giornale Asahi Shimbun ha riferito della seconda asta, con circa 70.000 tonnellate ancora in circolazione, vendute ai distributori per cercare di arginare l’impennata dei prezzi. Un fenomeno che ha sorpreso anche il ministro dell'Agricoltura, il quale ha definito i costi “incredibilmente alti”, nonostante una produzione aumentata di 180.000 tonnellate rispetto al 2024.

Le riserve di riso, create dal governo giapponese nel 1995, due anni dopo un’estate particolarmente calda che aveva obbligato il Giappone a importare riso, sono ora diventate una risorsa vitale. Ma perché il riso scarseggia? Secondo il New York Times, il calo nelle scorte è il risultato di una combinazione di fattori: il caldo record dell'estate 2023, la corsa alle scorte in vista di possibili tifoni e terremoti, e una politica agricola che ha ridotto progressivamente la terra disponibile per la coltivazione del riso. Non solo, il Giappone ha limitato la produzione per mantenere i prezzi sotto controllo e garantire la sopravvivenza dei coltivatori locali, ma ogni minima interruzione nella catena di approvvigionamento ha avuto un impatto devastante. Gli esperti, come il professor Shuji Hisano della Kyoto University, sottolineano che è diventato sempre più difficile tracciare il flusso del riso nel Paese, a causa delle nuove rotte alternative dei coltivatori, che preferiscono vendere il prodotto fuori dai canali tradizionali. Questo ha generato un mercato speculativo, con i prezzi schizzati alle stelle: nel 2023, un sacco da 60 kg è arrivato a costare l’equivalente di 160 dollari, un aumento del 55% rispetto a due anni prima.

Nel frattempo, l’emergenza ha toccato anche i supermercati, che hanno dovuto imporre limiti sugli acquisti. La qualità del riso proveniente dalle riserve d’emergenza non ha convinto del tutto i consumatori, creando scetticismo tra la popolazione. La situazione è sfociata in una protesta dei coltivatori, che a fine marzo hanno manifestato a Tokyo per esprimere il loro malcontento. Se i prezzi non torneranno presto alla normalità, non sono esclusi ulteriori interventi da parte del governo. Le elezioni parlamentari previste per fine luglio rappresenteranno un primo vero banco di prova per il premier Shigeru Ishiba, chiamato a gestire una crisi che ha colpito nel cuore un Paese abituato a fare del riso una questione di identità.

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