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10 Aprile 2025 - 13:30
Foto di repertorio
Sembrava una scena da Guerra Fredda: aerei che solcano l’oceano uno dopo l’altro, colmi di beni preziosi, con l’urgenza di battere sul tempo una scadenza. Ma stavolta non si trattava di carbone o grano per Berlino assediata, bensì di iPhone, AirPod e altri totem del consumo globale, in fuga dai dazi imposti da Donald Trump. Una carestia tecnologica evitata per un soffio, grazie a quella che è già stata ribattezzata “la più grande operazione logistica d’emergenza mai vista nel retail elettronico”.
Cinque cargo carichi di dispositivi Apple sono decollati in tre giorni dall’India verso la California, come confermato dal Times of India. La data da battere era il 5 aprile: da quel giorno, i nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump – fino al 54% per le importazioni dalla Cina e al 26% per quelle dall’India – hanno cambiato le regole del gioco per i giganti tech americani. Per Apple, si trattava di evitare un balzo dei listini che avrebbe fatto lievitare i prezzi al dettaglio. E l’unico modo per farlo era uno: fare scorta, e in fretta.
Dietro questa corsa contro il tempo c’è una delle menti più razionali della Silicon Valley, Tim Cook, il CEO che ha trasformato la catena logistica di Apple in un’opera d’ingegneria industriale. In pochi giorni, gli stabilimenti in India e in Cina hanno accelerato le produzioni e moltiplicato le spedizioni verso gli Stati Uniti. L’obiettivo: riempire i magazzini americani prima dell’entrata in vigore dei dazi, e guadagnare così qualche mese di tregua.
Una mossa che rivela la portata della minaccia. Perché stavolta non si tratta solo di una variazione nei costi: la pressione protezionista dell’amministrazione Trump ha il potenziale di riscrivere l’intera geografia industriale del tech. Il diverso peso dei dazi – 54% dalla Cina contro 26% dall’India – è un chiaro invito a cambiare sponda. E Apple lo ha capito: la produzione in India è già in piena espansione, con l’obiettivo di sfornare 25 milioni di iPhone entro l’anno. Se tutti venissero destinati agli Stati Uniti, soddisferebbero metà del fabbisogno interno.
È un cambiamento strutturale. Non solo per Cupertino, ma per l’intera industria. Per ora, la strategia ha evitato l’immediata ricaduta sui consumatori: i prezzi restano stabili, almeno per qualche mese. Ma l’assalto ai negozi Apple registrato nel weekend del 5-6 aprile parla chiaro: i clienti temono rincari imminenti. “Quasi ogni cliente mi ha chiesto se i prezzi aumenteranno presto”, ha dichiarato a Bloomberg un dipendente rimasto anonimo. E le vendite sono salite di colpo, con alcuni store che hanno eguagliato i numeri del periodo natalizio.
Nel breve termine, l’operazione di “accaparramento organizzato” potrebbe addirittura far bene ai conti di Apple: il terzo trimestre fiscale, che si chiude a giugno, promette risultati robusti. Ma già da luglio, quando le scorte si esauriranno, i dazi cominceranno a mordere. E non solo sul fronte dei prezzi: anche i margini di profitto rischiano di contrarsi, in un mercato – quello degli smartphone – già saturo e competitivo.
Wall Street intanto ha già lanciato l’allarme. In due giorni, Apple ha : il peggior crollo dai tempi della bolla dot-com. È il segno che i mercati non credono più all’invulnerabilità del gigante di Cupertino. E che il vento è cambiato.
Nel frattempo, il centro del mondo si sposta, lentamente ma inesorabilmente. Le fabbriche cinesi restano centrali – Foxconn e compagnia continuano a produrre su larga scala – ma l’India avanza. Da Paese emergente a nuovo cuore pulsante della manifattura hi-tech. Non è solo una questione di convenienza economica: è geopolitica pura.
E l’Europa? Per ora osserva. Le importazioni dai due colossi asiatici non hanno subito le stesse impennate tariffarie. Ma la domanda resta: i rincari colpiranno anche i consumatori italiani e del Vecchio Continente? Tutto dipenderà da come Apple – e gli altri attori – sceglieranno di redistribuire il peso dei nuovi costi. Una cosa è certa: gli effetti si faranno sentire. E non solo nei bilanci aziendali, ma anche nei portafogli di chi, in coda davanti agli Apple Store, si chiede quanto potrà ancora permettersi l’oggetto del desiderio.
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