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Papa Francesco
23 Aprile 2025 - 06:00
Era “un nonno”, diceva di sé. Lontano dalla TV dal 1990 per un voto mariano, apparentemente spaesato davanti alle nuove tecnologie. Eppure, nessuno come Papa Francesco ha saputo parlare al mondo attraverso quelle stesse tecnologie. Con umiltà, intelligenza e profonda umanità ha trasformato i social media in un’estensione della sua voce, della sua missione, della sua fede. Una comunicazione semplice, mai banale. Un’evangelizzazione digitale, eppure profondamente reale.
Selfie e spiritualità: l’evangelizzazione nell’era dei like
Francesco i social non li ha subiti, li ha abitati. Come uno di noi. Ha sorriso in centinaia di selfie, ha lanciato appelli di pace in 280 caratteri, ha fatto il suo ingresso su TikTok a 88 anni. Un Papa social? Sì, ma con spirito critico. Non per moda. Non per vanità. Perché quei canali digitali erano, per lui, ponti tra le persone. E in un mondo sempre più diviso, quei ponti andavano costruiti, difesi, custoditi.
Su X (ex Twitter), il suo account @Pontifex è diventato una mappa spirituale quotidiana: oltre 40 milioni di follower, 9 lingue, milioni di cuori raggiunti con messaggi brevi, densi, luminosi. “Cristo è risorto”, scriveva pochi giorni prima di morire, dal letto del Gemelli. Perché sì, twittava anche da lì.
Su Instagram (@Franciscus), la fede passava per le immagini: mani intrecciate, sguardi intensi, incontri con gli ultimi. Su TikTok, l’ultimo atto – simbolico e potente – per promuovere Spera, la sua autobiografia, ma anche un testamento di fede rivolto a una generazione nata tra le stories e i reel.
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Ma Francesco non era cieco. Ne vedeva chiaramente i rischi. “La dipendenza dai social provoca putrefazione cerebrale”, disse. Non era provocazione: era una richiesta d’allerta. Perché la rete, diceva, può unire, ma può anche isolare. Può educare, ma anche manipolare. Può connettere, ma anche disgregare. Per questo il suo imperativo era chiaro: la verità prima di tutto. E la verità non è urlata, né algoritmica. È umana. È etica. È una scelta.
Ai giornalisti e ai comunicatori ha chiesto molto. Non scoop, ma rispetto. Non clickbait, ma autenticità. Una “comunicazione che costruisca ponti, che unisca e non che separi”. Era il suo sogno, il suo progetto, la sua preghiera. Una sorta di netiquette pontificia: promuovere la verità, proteggere la dignità, educare all’uso dei social come strumenti di bene comune. La parola al servizio dell’uomo. Sempre.
Papa Francesco lo ha detto, lo ha fatto, lo ha incarnato: "Noi siamo il nostro tempo". Un tempo complesso, fragile, accelerato. Ma anche un tempo che ha bisogno di voci chiare, di sorrisi veri, di spiritualità accessibile. Un tempo che ha bisogno di guide che non parlino dall’alto, ma dal centro – dal centro dell’umanità.
Con la sua voce e i suoi post, Francesco è stato quella guida. Un influencer dell’anima, che non ha mai voluto followers, ma compagni di strada.
E ora che la “sede è vacante”, resta un’eredità digitale potentissima. Non fatta di contenuti, ma di contenuti con senso. Non di numeri, ma di parole che ancora brillano nei feed del mondo.
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