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Papa Francesco
24 Aprile 2025 - 23:31
I candidati ci sono, i bookmaker stanno già facendo le loro previsioni e i giornali iniziano a raccontare le storie e i profili dei papabili. Ma ci sono aspetti meno visibili che meritano attenzione e che non dovrebbero essere relegati a semplici curiosità. Tra questi, spiccano due elementi chiave: l’età del nuovo pontefice e il nome che sceglierà una volta eletto.
Quando un nuovo pontefice sale al soglio pontificio, una delle sue prime decisioni – e tra le più cariche di significato – è quella di adottare un nuovo nome. Un atto che va ben oltre il simbolismo: è un messaggio al mondo. La scelta del nome non è mai casuale, ma riflette la visione del pontificato che quel papa intende proporre. Ma quali sono stati i nomi più frequenti nella storia della Chiesa? E cosa possono dirci, a livello simbolico e teologico, queste scelte?
Nel corso dei secoli, certi nomi sono stati ripetutamente preferiti, fino a diventare quasi sinonimi del ruolo papale stesso. “Giovanni” guida la classifica, adottato da ben ventitré pontefici, seguito da “Gregorio” e “Benedetto”, entrambi scelti sedici volte. Altri nomi ricorrenti includono “Clemente”, “Innocenzo”, “Leone” e “Pio”. Il nome “Francesco”, invece, è stato utilizzato una sola volta: dall’attuale papa.
La decisione di Jorge Mario Bergoglio di chiamarsi “Francesco” ha rappresentato una svolta. Un nome inedito, ispirato a San Francesco d’Assisi, figura emblematica di povertà, semplicità e amore per i più fragili. Con questa scelta, il papa argentino ha voluto indicare fin dall’inizio una rottura con la tradizione, abbracciando un approccio più umile e vicino agli ultimi, orientato all’ecologia e a una Chiesa più aperta e partecipativa.
Analizzando storicamente la scelta dei nomi, si può notare una certa tendenza: i pontefici con un’impostazione più conservatrice tendono a selezionare nomi legati alla dottrina e alla continuità. “Pio”, ad esempio, richiama Pio IX, celebre per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione e per la sua opposizione al modernismo. Anche Pio XII, papa durante la Seconda Guerra Mondiale, è ricordato per il rigore dottrinale. Analogamente, Joseph Ratzinger ha scelto il nome “Benedetto”, che evoca un legame forte con la tradizione e la liturgia.
Al contrario, i pontefici che hanno promosso riforme o mostrato una maggiore apertura al cambiamento hanno spesso optato per nomi dal significato innovativo. Giovanni XXIII, che diede avvio al Concilio Vaticano II, e Paolo VI, che lo portò a compimento, sono due esempi di papi associati a una visione riformatrice. Giovanni Paolo II, sebbene identificabile con una linea più conservatrice, rappresenta un’eccezione rispetto a questa regola implicita.
Non esiste una norma canonica che imponga la scelta di un determinato nome o che limiti la libertà del papa eletto. La consuetudine di adottare un nuovo nome risale a Papa Giovanni II, nel VI secolo, e da allora è diventata una tradizione consolidata. Anche se nulla vieta di scegliere un nome del tutto nuovo o insolito, i pontefici tendono a optare per nomi che risuonino con la storia della Chiesa e parlino direttamente al cuore dei fedeli.
Secondo quanto riportato anche dall’Enciclopedia dei Papi della Treccani, il nome pontificale è considerato il primo gesto di governo del nuovo vescovo di Roma. Attraverso questa scelta, il papa imprime una direzione al proprio pontificato, segnando un possibile legame con il passato oppure una chiara volontà di rinnovamento.
Il nome di un papa non è solo un titolo: è una visione. È una dichiarazione d’intenti che offre un’anticipazione delle priorità del pontificato. Dalla fermezza dottrinale suggerita da un “Pio” alla volontà di dialogo incarnata da un “Giovanni”, fino all’impegno sociale racchiuso in un “Francesco”, ogni nome porta con sé una storia, una scelta, una prospettiva. Una Chiesa che cambia comincia anche da qui.
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