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Curiosità

Modi e detti torinesi, imparare il dialetto in pochi passi

Ecco alcuni modi di dire per sorprendere i tuoi amici piemontesi

Modi e detti torinesi, imparare il dialetto in pochi passi

Quante volte si prova ad imparare un dialetto ascoltando i propri parenti più anziani parlarlo ma non si sa come usarlo durante una conversazione? La barriera linguistica e l'impostazione scolastica allontanano dall'imparare un lingua così esclusiva ed è per questo che oggi avrete 5 modi di dire torinesi che vi serviranno per fare bella figura in compagnia di amici e parenti quando vi chiederanno "Ma sai parlare in dialetto?"

  • A l'è mej frusté scarpe che linsseui: un suggerimento per le persone iperattive, letteralemente "meglio consumare le scarpe che le lenzuola", poter quindi saltare e correre pieni di salute invece che dover rimanere a letto ammalati.

  • Al pian d'i babi: "al piano dei rospi", riprendendo la favola di La Fontaine del rospo che per quanto si sforzi saltando non supererà mai la prima riva della sua palude. Così nella vita molti cadono dall'alto per cattiva amministrazione dei propri soldi e si trova sul lastrico, il piano dei rospi.

  • Ancarpionà: pietanza tipica piemontese con verdure o carne cotte nell'aceto, si riferisce a una persona che è innamorato perso che può essere sia dolcissimo che aspro proprio come l'aceto.

  • A doi indrit: "a doppio petto" come un impermeabile, si riferisce anche alla doppia faccia di opinioni che possono avere un aspetto polivalente, sia con lato positivo che lato negativo.

  • A boce ferme: anche in italiano l'espressione "a bocce ferme" si usa per stabilire una decisione senza essere frettolosi e dopo attenta analisi, ma qui si prende spunto direttamente dalle partite di bocce dove i giocatori seguono attentamente lo svolgimento del gioco che può capovolgersi per pochi millimetri e per cui non si può essere giudici del momento.

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