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02 Maggio 2025 - 19:55
Alle sei del mattino la sveglia suona impietosa. Non perché siate costretti a correre in ufficio, dove l’ingresso è fissato per le nove, e nemmeno per godersi con calma una colazione in stile continentale. Il motivo reale è un altro: servono almeno due ore per affrontare l’infinita sequenza della beauty routine. Doppia detersione – prima l’olio, poi la schiuma – e poi via con esfoliante, scrub, tonico, siero, contorno occhi, crema idratante, protezione solare. Senza dimenticare il make-up. E la sera? Si ricomincia da capo: struccante, tonico, sieri, acidi, crema notte. Un rituale quotidiano che si ripete due volte al giorno. Ogni giorno. Sempre uguale. Fino allo stremo.
In apparenza, nulla di patologico. Anzi, la cura della pelle è un gesto positivo, un modo per prendersi del tempo, per sé. Ma quando diventa l’unico tempo che si ha, il confine si fa sottile. Sottile come un velo di siero lasciato ad assorbire per minuti infiniti. Perché se salta un passaggio – se il tonico è finito, se la maschera è esaurita, se il patch non aderisce, se la pelle non è abbastanza luminosa – il disagio prende il sopravvento. E da rituale di benessere, la skincare si trasforma in una spirale compulsiva.
Non è un caso che si parli sempre più spesso di beauty burnout: una stanchezza emotiva e psicologica, simile a quella che si associa al contesto lavorativo, ma legata alla cura ossessiva del corpo. Una rincorsa all’ideale di pelle perfetta che diventa estenuante. "Proprio come il burnout lavorativo – spiegano gli esperti – nasce da un investimento eccessivo di energie che non restituisce il giusto ritorno emotivo".
Il primo segno d’allarme? L’intolleranza verso qualsiasi tipo di imperfezione. Uno sfogo, un poro dilatato, una discromia: tutto diventa motivo di ansia. Il tempo libero ruota attorno a nuovi acquisti cosmetici, l’algoritmo bombarda di video skincare, la giornata è scandita da stratificazioni di prodotti. E più aumentano i passaggi (la routine coreana ne prevede almeno dieci), più cresce il rischio di perdere il controllo.
Il termine dermorexia – proprio come l’ortoressia per l’alimentazione – non è riconosciuto ufficialmente nei manuali psichiatrici, ma descrive una tendenza reale: quella di vivere la cura del viso come un’ossessione, trasformando il piacere della beauty routine in un’ansia da prestazione.
Il paradosso è che, nella rincorsa alla perfezione, la pelle può iniziare a ribellarsi. L’uso eccessivo di acidi, sieri, creme – anche di ottima qualità – può indebolire la barriera cutanea. Si rischia di andare incontro a dermatiti, arrossamenti, sensibilizzazioni croniche, fino alla cosiddetta acne cosmetica. Un cortocircuito che ribalta l’intero senso del rituale: la pelle, invece di migliorare, peggiora.
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