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“Sindrome da corridoio”: il nuovo burnout che ti ruba la vita (anche quando sei a casa)

Scopri cos’è la sindrome da corridoio, quali sono i sintomi più comuni e come ristabilire i confini tra vita privata e lavoro per proteggere salute mentale e benessere quotidiano

“Sindrome da corridoio”: il nuovo burnout che ti ruba la vita (anche quando sei a casa)

Non è smart working. Non è neppure overworking. È qualcosa di più sottile, subdolo, strisciante. È la “sindrome da corridoio”: quel limbo mentale in cui casa e lavoro si fondono, si mescolano e si confondono, fino a farci vivere in un eterno non-luogo, dove le preoccupazioni si rincorrono senza tregua e il cervello resta sempre acceso.

Secondo il Censis, siamo in 3 milioni a viverci così. A tenere le scarpe da ginnastica sotto la scrivania e la mail del capo tra i messaggi WhatsApp. A portare i litigi di casa in riunione e l’ansia della deadline a cena. È un circolo vizioso. Un andirivieni continuo nel corridoio invisibile tra la porta di casa e quella dell’ufficio. E non è solo fastidioso. È pericoloso.

I dati parlano chiaro: il 36,1% dei lavoratori trascina i problemi d’ufficio nel privato, con impatti evidenti su relazioni e serenità; il 25,7% fa il contrario, portandosi il caos personale al lavoro, con inevitabili ricadute sulla performance. E poi ci stupiamo se non dormiamo bene, se ci svegliamo già stanchi, se ci scopriamo irritabili anche davanti a una battuta o una richiesta banale.

Il corpo manda segnali, ma siamo troppo distratti per ascoltarli. Eppure dovremmo fermarci. Respirare. Mettere giù quello zaino emotivo che continuiamo a trascinare ovunque. E perdonarci mentre lo facciamo. Perché imparare a staccare non è disinteresse: è cura. Cura per sé, per chi ci sta accanto, per il tempo che merita rispetto.

Serve costruire confini. Veri, anche se simbolici. Un piccolo rito quotidiano per dire a noi stessi: ora cambio modalità. Una camminata, una tisana bevuta lentamente, due respiri profondi davanti alla finestra. O un post-it sulla scrivania: “Ora sono qui”. Ci vuole poco, ma bisogna volerlo.

Vale anche nel tragitto inverso. Lasciarsi alle spalle il privato, quando si entra in ufficio, non è alienazione. È concentrazione. È un atto di equilibrio. E sì, anche un buon sottofondo musicale può fare la differenza. La playlist giusta, la luce sul monitor, la prima mail del giorno: ogni gesto può segnare l’inizio di una nuova parentesi. E alleggerire il senso di colpa. Perché scrivere i pensieri su un taccuino non li cancella, ma li colloca. È come dire: non ti ignoro, ma ora non è il tuo momento.

E poi, lo sport. Il confine più naturale che possiamo tracciare. Non per forza un’ora di palestra o un’iscrizione annuale. Basta trovare quello che ci somiglia: chi ha bisogno di scaricare rabbia e frustrazione può correre, boxare, sudare. Chi deve invece rallentare, ritrovarsi, ascoltarsi, può scegliere yoga, pilates, o anche solo una passeggiata nel verde. In silenzio. Senza telefono. Solo con sé.

La verità è che nessuna email vale il nostro equilibrio. Nessuna urgenza giustifica la perdita di lucidità. E nessuna carriera ha senso, se ci porta a dimenticare chi siamo fuori da quel corridoio. Perché sì, il lavoro è importante. Ma la vita lo è di più.

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