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06 Maggio 2025 - 20:00
Sembra una scena da film, e invece è una delle insidie più reali del volo moderno. Un decollo, un attimo, un rumore secco, e poi il silenzio inquietante di un motore che smette di girare. È il cosiddetto bird strike, ovvero quando un aereo incontra sul suo cammino uno o più uccelli. A volte è solo uno spavento. Altre, invece, può diventare un incubo.
Lo dimostra il recente scontro nei cieli di Pantelleria tra due Frecce Tricolori durante una sessione di allenamento della Pattuglia Acrobatica Nazionale. L’incidente ha scosso l’isola, riaccendendo paure che l’Italia non ha ancora dimenticato. I ricordi riportano subito alla tragedia dello scorso 16 settembre 2023, quando un velivolo della PAN precipitò dopo l’impatto con un volatile: morì la piccola Laura, appena 5 anni. L’ipotesi principale resta quella del bird strike. Oggi, fortunatamente, l’episodio di Pantelleria non ha avuto esiti fatali: i due piloti sono riusciti a effettuare un atterraggio d’emergenza, sebbene uno dei velivoli abbia riportato gravi danni, tra cui la perdita di una ruota e un’ala compromessa.
Il bird strike non colpisce a caso. Succede nel 90% dei casi durante le fasi più delicate del volo: decollo e atterraggio. Proprio lì, negli aeroporti o nelle loro immediate vicinanze, dove il cielo è basso e la velocità alta. Gli uccelli – come ricordano le relazioni dell’ENAC – volano spesso sotto i 152 metri di altezza, soprattutto se non sono in migrazione. Esattamente dove volano anche gli aerei nei primi secondi in aria.
Il motore sinistro, statisticamente, è il più coinvolto. Non per superstizione, ma per traiettorie e angoli di virata: lo spazio aereo ha le sue regole, e a volte anche le sue trappole.
È qui che arriva la parte più impressionante: a 240 km/h (velocità media in fase di atterraggio), l’impatto con un volatile di 5 kg equivale a una massa di 500 chili lanciata da tre metri d’altezza. In parole povere: un colpo secco, potente, potenzialmente devastante. Gli aerei sono progettati per resistere, certo. Ma il rischio resta. E se il pennuto viene risucchiato nel motore, può piegare le pale, rompere turbine, far crollare la spinta. In casi estremi, portare alla perdita del motore.
Fortunatamente, i piloti sanno come reagire. Un aereo commerciale può atterrare anche con un solo motore, e gli equipaggi si addestrano per farlo. Ma ci sono casi in cui il destino gioca sporco.
I precedenti: quando il rischio si è fatto realtà
Due episodi restano scolpiti nella storia recente dell’aviazione. Il primo è italiano: novembre 2008, volo Ryanair da Francoforte a Roma-Ciampino. Uno stormo di circa 90 uccelli colpisce l’aereo. Danni ai motori, all’ala, al carrello. Atterraggio d’emergenza, paura a bordo, pista uscita e poi ripresa. Tutti salvi, ma con il fiato sospeso.
Nel 2022, secondo ENAC, sono stati registrati ben 2.168 casi di bird strike. Solo in 40 di questi si sono verificati danni rilevanti, mentre in 103 casi l’animale è finito nel motore. I dati sono sotto controllo, ma non per questo da ignorare. Il problema esiste, e cresce. Anche perché alcune specie, come i gabbiani o le oche, si sono abituate a vivere nei pressi degli aeroporti. Attratte da discariche, aree verdi, fabbricati abbandonati. Tutti ambienti perfetti per nidificare, ma potenzialmente pericolosi per il traffico aereo.
Come si previene un impatto in cielo?
Gli aeroporti non restano a guardare. Sistemi acustici come i distress call simulano richiami di predatori per spaventare gli uccelli. Si fanno indagini faunistiche, si taglia l’erba, si eliminano fonti di cibo. Ma non sempre basta. Perché il cielo, per quanto sorvegliato, resta un luogo difficile da controllare completamente.
Il bird strike è uno di quei rischi silenziosi ma persistenti, che ricordano una verità semplice e spesso ignorata: in cielo, l’uomo è ancora ospite.
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