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12 Maggio 2025 - 19:40
È uno dei rituali più prevedibili e, al tempo stesso, più attesi dell’anno. Appena le temperature si alzano e le giornate si allungano, ecco che inizia il grande gioco della programmazione estiva: tra un boccone e l’altro, a cena con gli amici o in pausa pranzo con i colleghi, si snocciolano mete da sogno, voli prenotati e itinerari on the road. C’è chi ha già bloccato la settimana alle Maldive, chi sogna i tramonti di Lisbona e chi si immagina già disteso su una spiaggia deserta a sorseggiare un cocktail. Ma dietro questo entusiasmo generalizzato, per molti si nasconde una pressione silenziosa e logorante: la notriphobia.
Il nome dice già tutto: notriphobia, crasi tra “trip” (viaggio) e “phobia” (paura), è la fobia di non riuscire a prenotare le vacanze. Un’angoscia che si insinua proprio quando tutti attorno sembrano avere le idee chiarissime, mentre si resta impantanati tra dubbi, indecisioni e il calendario ancora bianco. Ma attenzione: non è la paura del viaggio in sé. È il terrore di restare indietro, di essere tagliati fuori da un rito collettivo che, oggi più che mai, sembra obbligatorio.
Dietro questa fobia si celano dinamiche sociali profonde. Lo spiegano gli esperti: spesso chi soffre di notriphobia non teme il viaggio, ma l’isolamento. Il vero timore è perdere un’occasione di socialità, sentirsi esclusi, invisibili. Non riuscire a partire diventa allora il simbolo di una fragilità più ampia: la paura di non appartenere, di non essere all’altezza delle aspettative (reali o percepite) del gruppo di amici, dei colleghi, della rete sociale.
Secondo la psicologia, la notriphobia si alimenta di bassa autostima, ma anche di un bisogno genuino di contatto umano e crescita personale. Per molti, il viaggio è scoperta, rigenerazione, rinascita. E quando questo percorso sembra precluso, si insinua un senso di fallimento. Il blocco non è solo logistico, ma emotivo. Un ostacolo alla propria evoluzione.
Cosa fare, allora, per disinnescare questa bomba emotiva? Gli psicologi consigliano di cominciare dall’accettazione dell’incertezza: non sempre si può avere tutto sotto controllo. Rivalutare il concetto stesso di viaggio è il primo passo, anche un’escursione nei dintorni, una giornata da turista nella propria città o una pausa rigenerante al parco sotto casa possono diventare esperienze significative.
Fondamentale è anche ridurre il confronto ossessivo con gli altri: limitare l’uso dei social media aiuta a non cadere nella trappola delle vite perfette altrui. Dietro le immagini patinate, spesso, ci sono problemi comuni e momenti di vuoto. Coltivare la gratitudine per ciò che si ha – anche se piccolo – è un esercizio potente. Infine, creare una lista di luoghi da visitare, anche solo in prospettiva, restituisce senso di direzione e progettualità. Perché viaggiare non è (solo) partire. È anche immaginare, desiderare, prepararsi. E sentirsi, in fondo, parte di qualcosa.
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